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ATTO QUARTO 177


Luc. Buon dì! Frate, dov’è il Prevosto?

Duc. Non nella prigione.

Luc. Oh graziosa Isabella! il mio cuore geme al vedere i tuoi occhi così rossi: bisogna che tu abbia pazienza; di qui innanzi io pure cenerò a pane ed acqua, perchè temerei d’esporre la mia testa al patibolo, ove mi riempissi lo stomaco. Però si dice che il duca sarà qui dimani. Sull’onor mio, Isabella, io amavo tuo fratello. Se il buon duca, che è gioviale e valoroso, e a cui piacciono le prodezze siano di guerra o d’amore, fosse stato nel suo regno, egli vivrebbe ancora. (Is. esce)

Duc. Signore, il duca non vi deve essere obbligato, per le parole che usate parlando di lui: quello che v’è di bene, è che il suo carattere non rimane alterato dai vostri propositi.

Luc. Frate, tu non conosci il duca come io. Egli è un cacciatore migliore che non credi.

Duc. Bene; di tutto ciò risponderete un giorno. Addio.

Luc. No, aspetta: vuo’ accompagnarti: ti darò belle nuove del duca.

Duc. Troppe anche me ne avete dette di lui, signore, se parlato avete il vero; se poi mentiste, non potreste più con alcun discorso giustificarvi.

Luc. Comparvi dinanzi a lui una volta, per avere incinta una fanciulla.

Duc. Faceste tal cosa?

Luc. Sì, in verità; ma giurai di no, altrimenti mi avrebbero costretto a sposarla.

Duc. Signore, la vostra compagnia è più piacevole che onesta: restatevi in pace.

Luc. In fede, verrò con voi fino al termine della via; se una celia vi offende starem sul grave. Io, frate, sono come il vischio: attaccatomi una volta, non mi stacco più. (escono)

SCENA IV.

Una stanza nella casa di Angelo.

Entrano Angelo e Escalo.

Esc. Ogni lettera ch’egli scrive smentisce la lettera antecedente.

Ang. Nel modo più contraddittorio e più bizzarro. Le sue azioni lo farebbero creder tocco da follia; preghiamo il Cielo che la sua saviezza non sia alterata! E perchè dovremo andargli incontro fuori della città, e là rimettergli i nostri poteri?