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ATTO QUARTO


SCENA I.

Una camera nella casa di Marianna.

Marianna seduta; un fanciullo che canta.

Canzone. «Allontana, oh! allontana quelle labbra sì dolci e sì spergiure, e quegli occhi splendidi come il dì nascente, fanali che ingannano e fan traviare l'aurora. Ma rendimi i miei baci, rendimi quei baci che suggellarono il mio amore, e lo suggellarono invano».

Mar. Interrompi i tuoi canti, e vattene. Veggo l’uomo consolatore, i di cui savi ammonimenti hanno spesso calmato le grida del mio dolore, (il fanciullo esce; entra il Duca) Imploro il vostro perdono, mio caro signore; e vorrei che non mi aveste trovata mentre ascoltava vani canti. Scusatemi, e degnatevi credermi sopra quel che vi assicuro. Quei canti addolcivano i miei affanni, ma non potevano ispirarmi alcuna gioia.

Duc. La musica non è un male, sebbene i suoi allettamenti abbiano spesso la potenza di volgere il male in bene, e di mutare il bene in male. — Ve ne prego, ditemi, è venuto nessuno a chiedermi oggi? Avevo detto che sarei qui a quest’ora.

Mar. Alcuno non venne: sono stata qui sempre.

Duc. Ve lo credo. (entra Isabella) Ma l’ora è giunta. Vi prego di ritirarvi per alcuni istanti. Potrebbe essere che vi richiamassi, per parteciparvi cosa che vi sarà vantaggiosa.

Mar. Mi atterrò sempre ai vostri consigli. (esce)

Duc. (a Is.) Ci troviamo a proposito, e siete la ben giunta. Quali novelle di quel buon ministro?

Is. Egli ha un giardino circondato da un muro che dal lato di occidente dà in una vigna; quella vigna è chiusa da una porta cui apre questa grossa chiave; quest’altra chiave disserra una porticella che dalla vigna adduce al giardino; è là che ho promesso di andarlo a trovare a metà della notte.

Duc. Ma siete abbastanza esperta dei luoghi per non ismarrire la via?