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ATTO TERZO


SCENA I.

Una stanza nella Prigione.

Entra il Duca, Claudio e il Prevosto.

Duc. Voi sperate dunque d’ottenere il vostro perdono dal signor Angelo?

Claud. Gl’infelici non hanno altro conforto che la speranza: io spero di vivere, quantunque sia parato a morire.

Duc. Siatelo, e morirete con coraggio. Dite così alla vita: s’io li perdo, perdo una cosa che non è stimata che dagli stolti. Tu non sei che un soffio, (servo delle influenze dell’atmosfera) che contristi ad ogn’istante il luogo del tuo soggiorno; non sei che una pazza, ludibrio della morte che ti sforzi d’evitare, e fra le cui braccia t’avventi spesso da te medesima. Tu non hai nulla di grande nè di nobile; perchè tutti i frutti che produci, sono impuri e venuti dal fango; non hai nè fermezza, nè coraggio, perocchè temi fino il debole pungolo d’un rettile: il bene maggiore che possiedi è il sonno, ed è per ciò che spesso l’invochi, sebbene poi tu tema la morte, ch’altro non è che un sonno! Di te tu mai non disponi: tu non hai nulla che t’appartenga; non sei che per un’omogeneità di parti che s’unirono senza che tu ne avessi conoscenza; non godi d’alcuna felicità, perchè ti crucci sempre per avere quello che non hai, e quel che possiedi disdegni: non sei mai in uno stato costante, e muti come l’astro delle notti, e vai soggetta alle più strane rivoluzioni. Se tu sei ricca, la tua ricchezza non è che povertà; simile al giumento curvo sotto le some dell’oro, non porti il pesante fardello che per un giorno di cammino, e la morte vien poscia ad alleggerirtene. Tu non hai amici; il frutto delle tue viscere che ti chiama padre, l’essere a cui desti la vita, impreca alle tue infermità perchè non ti fan morire abbastanza presto; tu non hai nè gioventù nè vecchiaia, ma solo un sonno di crepuscolo turbato dai sogni del mattino e della sera. L’età tua prima scorre nel mendicare e accumulare un po’ di pane per l’età ultima; e allorchè poi n’hai ottenuto in copia, non senti più nè calore nè membra; non hai più nè sensi nè bellezza per fruire di quello che con mille stenti