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ATTO SECONDO


SCENA I.

Una sala nella casa d’Angelo.

Entrano Angelo, Escalo, un Giudice, il Prevosto,
Uffiziali ed altri del seguito.

Ang. Non bisogna che facciamo della legge uno spauracchio per atterrire gli uccelli da preda, e che le lasciamo soltanto quella vana apparenza, fino a che familiarizzati per l’abitudine di vederlo, essi osino venire ad accovacciarsi sull’oggetto stesso del loro terrore.

Esc. Avete ragione, ma nondimeno non aguzziamo la spada delle leggi in principio che per incidere una lieve ferita, e non per vibrare colpi mortali. Oimè! quello sfortunato che vorrei salvare, aveva un padre virtuoso. Vogliate considerare, voi che io credo pieno di virtù, che nell’effervescenza delle nostre passioni, se l’occasione avesse concorso col luogo, il luogo col desiderio, e che non si fosse richiesto, per ottenere l’oggetto dei nostri voti, che di lasciar agire i nostri cuori, è ben dubbioso che voi ancora non foste potuto cadere, qualche volta nella vostra vita, nel fallo stesso pel quale oggi lo condannate, e che provocata non aveste la legge contro di voi.

Ang. Altra cosa è esser tentato. Escalo, altra il soccombere. Non nego che fra i giuristi che condannano i prigionieri a perder la vita, non se ne possano trovar alcuni più colpevoli dell’uomo sul quale bandiscono la sentenza; ma la giustizia punisce il delitto dovunque ei si mostra. Che importa alle leggi se sono colpevoli che giudicano altri colpevoli? È naturale che noi ci inchiniamo per raccogliere il gioiello che scuoprono i nostri occhi, e che calpestiamo con indifferenza l’altro che non abbiamo veduto. Voi non dovete scusare il suo fallo perchè io avrei potuto del pari commetterlo: dite piuttosto che, se io che lo condanno cadrò nel medesimo reato, in quell’istante il mio giudizio attuale discenderà su di me, e nessuna parzialità corromperà le leggi. Signore, la sua morte è necessaria.

Esc. Si faccia quello che deciderà la vostra saviezza.

Ang. Dov’è il Prevosto?

Prev. Qui, ai vosti ordini.