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126 | LA DODICESIMA NOTTE O QUEL CHE VORRETE |
Duc. In quei concetti non vi è molta follìa.
Ol. Fatelo porre in libertà, Fabiano, e conducetelo qui. (Fab. esce) Signore, lasciamo queste cure ad altri tempi, e vogliate credermi sorella al par che sposa; un giorno solo coroni questa doppia unione qui nel mio palazzo, ed a mie proprie spese.
Duc. Sono dispostissimo, madonna, ad accettare le vostre offerte. — Il vostro padrone (a Viol.) vi libera dal peso di servirlo, e in ricompensa di quello che avete fatto per lui, fa ora di voi la sua sovrana. Mia cara moglie.
Ol. Mia buona sorella. (rientra Fabiano e Malvolio)
Duc. È quello il demente?
Ol. Sì signore, quello. — Ebbene, Malvolio?
Mal. Signora, mi avete fatto oltraggio, un crudele oltraggio.
Ol. Io! È impossibile, Malvolio.
Mal. Voi stessa, voi stessa; leggete questa lettera. Non potrete negare che sia vostro carattere. Scrivete diversamente, se potete, sia per la mano, sia per lo stile; o dite che questo non è il vostro suggello. Ove conveniate dell’opera, spiegatemi perchè abbiate voluto così lusingarmi, dandovi a credere invaghita di me, e perchè poi quando la speranza di piacervi mi ha mosso a fare tutto quello che m’indicavate, avete permesso che fossi chiuso in una carcere tenebrosa, dove sono stato visitato da un prete, e dove mi fu fatto ogni scherno più barbaro che la malizia possa inventare. Datemi ragione di tal condotta.
Ol. Oimè, Malvolio, questo non è mio carattere, sebbene, lo confesso, molto vi somiglia, esso fu vergato dalla mano di Maria, ed ora rimembro che essa fu la prima a dirmi che eravate insanito; dopo di che vi vidi tosto venire a me col sorriso sulle labbra, e cogli abbigliamenti prescrittivi in questo foglio. Vi prego di calmarvi; fu un villano scherzo che vi venne fatto, ma quando ne conoscerete gli autori, diventerete voi stesso giudice e parte della vostra causa.
Fab. Degnatevi, signora, di udirmi un istante, e non vogliate che nessuna contesa venga a turbar la gioia di quest’ora fortunata; è con tale speranza che tutto vi paleserò. Fui io stesso e ser Tobia, che imaginammo questa celia contro Malvolio, per vendicarci di alcuni suoi procedimenti brutali; fu Maria che scrisse la lettera, sospintavi dalle importunità di ser Tobia, che in ricompensa di tal servigio l’ha sposata. Quanto seguì a quello stratagemma, deve piuttosto eccitar le risa che la vendetta, se si vuol esaminare e bilanciare con equità i torti reciproci di cui le due parti avevano a lagnarsi.