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120 LA DODICESIMA NOTTE O QUEL CHE VORRETE


Duc. Ebbene, mi renderò colpevole di duplicità: eccoti oro di nuovo.

Vil. Primo, secundo, tertio, è un bellissimo giuoco, e il proverbio dice, che la terza paga per tutte: il triplex, signore, è una cara cosa, e le campane di san Benedetto possono farvi sovvenire dell’uno, due, tre.

Duc. Non mi estrarrai altro denaro per adesso: se vuoi far sapere alla tua signora ch’io son qui per parlarle, e se l’induci a venire, tal servigio potrà risvegliare di nuovo la mia generosità.

Vil. Ah signore! cullatela, accarezzatela finch’io ritorni: vado tosto. Non vorrei però che credeste ch’io sia cupido; amo solo per riconoscenza il danaro: fate dunque dormire un istante la vostra generosità, ch’io poi verrò a destarla. (esce; entrano Antonio e gli Ufficiali)

Viol. Vien qui quel uomo che mi salvò.

Duc. Mi ricordo bene di quel volto, quantunque l’ultima volta che lo vidi fosse nero come quello di Vulcano in mezzo al denso fumo della battaglia. Egli era capitano d’uno sciagurato vascello, che venìa disprezzato per la sua piccolezza, e nondimeno con quel guscio di noce assalì con tanta furia la nave più nobile della nostra flotta, che l’invidia stessa fu costretta ad innalzar grida d’ammirazione per la sua gloria, e a divulgarne la fama. — Che v’è di nuovo?

Uff. Orsino, quest’è quell’Antonio che prese la Fenice al suo ritorno da Candia: ed è quello che si battè col Tigre nella mischia fatale in cui il vostro giovine nipote Tito perdè una gamba: l’abbiamo arrestato nelle strade di questa città in cui osava mostrarsi coll’imprudenza d’un disperato, e lo prendemmo colla spada alla mano mentre contendeva.

Viol. Ei mi rese servigio, signore, sguainò la spada per me, ma poi mi fece un discorso sì strano, ch’io lo credei tocco da follia.

Duc. Insigne pirata, scorridore de’ mari, quale audacia insensata ha fatto sì che ti venga a porre in potere di quelli che ti sei resi nemici spargendone il sangue, e causando loro mille danni?

Ant. Orsino, nobile signore, permettete ch’io abiuri i nomi disonorevoli che mi date. Non mai io feci il pirata, quantunque fossi per motivi giusti vostro nemico. Ciò che m’attirò qui fu una vera malìa; quel giovine ch’è al vostro fianco, il maggiore degl’ingrati, fu da me strappato ai flutti spumanti, e all’abisso d’un mare in furore: egli aveva fatto naufragio, ed era perduto; io gli salvai la vita, e a questo dono aggiunsi quello della mia