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ATTO QUINTO
SCENA I.
La strada dinanzi alla casa d’Olivia.
Entrano il Villico e Fabiano.
Fab. Ah! te ne prego, se m’ami, lasciami vedere quella lettera.
Vil. Buon messer Fabiano, concedetemi prima un’altra inchiesta.
Fab. Ogni cosa.
Vil. Non domandate di vedere questa lettera.
Fab. Sarebbe come il darmi un cane, e per ricompensa tornarmelo a chiedere. (entrano il Duca, Viola e seguito)
Duc. Appartenete a madonna Olivia, amici?
Vil. Sì signore; facciam parte de’ suoi mobili.
Duc. Io ben ti conosco: come stai, mio buon amico?
Vil. Per verità, signore, bene pei miei nemici, e male pei miei amici.
Duc. Dovresti dire all’opposto: bene pe’ tuoi amici.
Vil. No signore, male.
Duc. Come può ciò essere?
Vil. È, signore, che i miei amici mi lodano, e fanno di me un giumento; mentre i miei nemici mi dicono con ischiettezza che sono un ciuco: così, mercè i miei nemici, io imparo a conoscermi; mercè i miei amici, acquisto una falsa idea di me: per conchiudere, se le conseguenze sono come i baci, e le quattro negative fan due affermative, io debbo sentirmi male per i miei amici, e bene pe’ miei nemici.
Duc. La spiegazione è eccellente.
Vil. In verità, signore, no, quantunque vi piaccia di far parte degli amici miei.
Duc. Non dirai d’essere in lotta con me: eccoti oro.
Vil. Se non fosse per l’idea della duplicità, vorrei che raddoppiaste la dose.
Duc. Tu mi dai un cattivo consiglio.
Vil. Ponete la vostra grazia in saccoccia, signore, per questa sola volta, e lasciate operar solo la carne e il sangue.