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116 LA DODICESIMA NOTTE O QUEL CHE VORRETE


Mal. Che l’anìma di nostra nonna possa abitare nel corpo di un uccello.

Vil. Che pensi tu di tale opinione?

Mal. Penso più nobilmente dell’anima, e non accetto sì fatta credenza.

Vil. Addio; rimanti fra le tenebre: ta sosterrai le opinioni di Pitagora, prima che io ti creda rinsanito, e temerai di uccidere una beccaccia per paura di non fare oltraggio all’anima della nonna tua. Addio.

Mal. Ser Topas, ser Topas.....

Tob. Eccellentissimo messer Topas.

Mar. Avresti potuto compiere questa parte anche senza barba e senza veste; egli non ti vede.

Tob. Vagli a parlare colla tua voce naturale, e vienmi a dire cosa ti ha risposto: vorrei che ci ritirassimo dopo la mariuoleria che gli abbiam fatta. Se gli si può rendere la libertà senza danno, lo si faccia tosto, perch’io sono già abbastanza in mala vista a mia nipote, e non posso senza gravi rischi condurre questa celia più oltre. Ti aspetto nella mia stanza. (esce con Mar.)

Vil. (cantando) Robin, vago Robin, dimmi, come sta la tua signora?

Mal. Pazzo.....

Vil. La mia signora è scortese affè.

Mal. Pazzo.....

Vil. Oimè, perchè è tale?

Mal. Pazzo, dico.....

Vil. Ella ama un altro. — Chi chiama?

Mal. Buon pazzo, se mai avesti in cale il favor mio, fammi avere un lume, una penna, un calamaio e un po’ di carta: da gentiluomo come sono io te ne sarò riconoscente per tutta la vita.

Vil. Messer Malvolio?

Mal. Sì, mio buon pazzo.

Vil. Oimè, signore, come perdeste voi l’uso dei vostri cinque sensi?

Mal. Pazzo, non vi fu mai uomo di più insultato: io godo dei miei sensi al par di te, pazzo.

Vil. Al par di me? Dunque siete matto davvero se i vostri sensi somigliano a quelli di un demente.

Mal. Essi mi hanno racchiuso in queste tenebre come un insensato, e mi mandano curati ciuchi, e fanno tutto quello che possono per farmi smarrir l’intelletto.