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ATTO QUARTO | 115 |
onesto ed economo, val quanto dire che è zelante e religioso. Ecco i confederati. (entrano ser Tobia Belch e Maria)
Tob. Giove ti benedica, ottimo parroco!
Vil. Bonus dies, ser Tobia; poichè come il vecchio eremita di Praga, che non aveva mai veduto nè penne nè inchiostro, disse con tanto spirito alla nipote del re Gorboduco, quello che è è, così io sendo parroco, son parroco: altrimenti cosa sarei? E che cosa è l’essere?
Tob. Quanta sapienza!
Vil. Olà, dico... Sia pace in questa prigione.
Tob. Questo furfante lo contraffà a meraviglia; un ben arguto diavolo!
Mal. (da una camera interna) Chi chiama?
Vil. Messer Topas il curato, che viene a visitare il delirante Malvolio.
Mal. Messer Topas, messer Topas, buon messer Topas, andate da madonna.
Vil. Esci, iperbolico demone! Perchè cruci quell’uomo? Non parli tu mai che di femmine?
Tob. Ben detto, messer parroco.
Mal. Messer Topas, non vi fu mai uomo più oltraggiato: buon messer Topas, non crediate ch’io sia pazzo; essi mi han qui racchiuso fra tenebre spaventose.
Vil. Via, maledetto Satana! Io ti chiamo coi termini più modesti, perchè sono uomo tanto mansueto, che mi comporto cortesemente anche col diavolo. Tu dici che quella stanza è tenebrosa?
Mal. Come l’inferno, messer Topas.
Vil. Essa ha finestre che sono trasparenti come la paglia; e le pietre poste al sud-nord son luminose come l’ebano: di che dunque ti lagni?
Mal. Non son pazzo, messer Topas; io vi dico che non vi si vede.
Vil. Pazzo, tu erri: non vi sono altre tenebre che l’ignoranza in cui sei più avvolto, che non lo siano gli Egiziani nelle loro nebbie.
Mal. Io dico che questa casa è scura come l’ignoranza, quando anche l’ignoranza fosse scura come l’inferno; e dico che non vi fu mai uomo più indegnamente trattato: io non sono matto più che voi nol siate; ponetemi alla prova con qualche importante interrogazione.
Vil. Qual è l’opinione di Pitagora sulla specie volatile?