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ATTO QUARTO
SCENA I.
Una strada dinanzi alla casa di Olivia.
Entrano Sebastiano e il Villico.
Vil. Vorreste voi farmi credere di non avermi mandato a cercare?
Seb. Vattene; sei un imbelle: liberami dalla tua presenza.
Vil. Molto bene, in fede! No, non è vero ch’io vi conosca, e che sia stato mandato dalla mia signora per dirvi di venirle a parlare, e vero non è che vi chiamiate Cesario. Tutto ciò è menzogna.
Seb. Vattene a dar sfogo altrove alla tua pazzia: tu non mi conosci.
Vil. Dar sfogo alla mia pazzia? Egli ha udito proferir questa parola da qualche grand’uomo, ed ora l’applica a un demente. Dar sfogo alla mia pazzia? Molto temo che questo rustico mondo non si faccia a poco a poco civile. — Ve ne prego, abbandonate quell’aria di sorpresa e quella simulata ignoranza, e ditemi che cosa debbo rispondere alla mia signora? Le dirò che verrete?
Seb. Te ne scongiuro, lasciami, pazzo, eccoti denaro: se di più resti, ti pagherò con un’altra moneta che ti piacerà meno.
Vil. Sull’onor mio tu hai una mano facile ad aprirsi. — Gli uomini che danno denaro ai pazzi, sanno procurarsi sentenze propizie in ogni litigio. (entrano ser Andrea, ser Tobia e Fabiano)
And. Ora che vi trovo di nuovo, prendetevi questa. (battendo Seb.)
Seb. E voi questa, e questa ancora. (battendo And.) Son tutti folli costoro?
Tob. Fermatevi, signore, o vi spezzerò la spada.
Vil. Andrò a dir ciò alla mia signora tosto: non vorrei essere nelle saccoccie vostre per due mezzi soldi. (esce)
Tob. Fermatevi, fermatevi. (trattenendo Seb.)
And. No, lasciatelo andare, e l’acconcierò in altra guisa: gli