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98 | LA DODICESIMA NOTTE O QUEL CHE VORRETE |
Vil. La follia, signore, fa il giro del globo come il sole; essa risplende da per tutto. Ben mi dorrei se il buffone fosse così spesso col vostro signore, com’egli lo è colla signora mia. Io pure credo di aver veduta la vostra saviezza in quella casa.
Viol. Se tu vuoi farmi complimenti troncheremo ogni colloquio. Eccoti per il bere.
Vil. Ora Giove al suo primo agio peloso vi mandi la barba.
Viol. Te lo confesserò in fede; languo pel desiderio di una barba, sebbene non volessi vederla crescere sulle mie gote. È dentro la tua signora?
Vil. (guardando le monete avute) Non potrebbero generare figliuoli questi metalli, signore?
Viol. Sì, essendo tenute insieme, e poste in opera.
Vil. Vorrei farla da Pandaro, signore, onde recare un’altra Cressida a questo Troilo.
Viol. T’intendo; è un bel dimandare.
Vil. Non è gran cosa, signore, non chieggo che mendicando; Cressida altro non era che una mendica. — La mia signora è in casa, messere: le andrò a dire di dove venite; quanto a ciò che siete, a quel che volete, è cosa fuori del mio firmamento: avrei potuto dire elemento, ma è parola vieta. (esce)
Viol. Colui è abbastanza sensato, ed ha bastante spirito per fare il buffone. Convien che egli osservi l’umore di quelli con cui scherza, la qualità delle persone e le circostanze, e che, come il falco delle rupi, si avventi su tutte le penne che gli si parano innanzi. È un talento difficile al par d’ogni altro: perchè la follia, che si mostra a proposito, dà credito; ma quella che irrompe senza freno, toglie ogni riputazione. (entrano Ser Tobia Belch e Ser Andrea Maldigota)
Tob. Iddio vi salvi, signore.
Viol. E voi anche.
And. Dieu vous garde, monsieur.
Viol. Et vous aussi; votre serviteur.
And. Mi lusingo, signore, che lo siate; ed io sono il vostro.
Tob. Volete avvicinarvi alla mia casa? Mia nipote desidera che vi entriate per intrattenervi con esso lei.
Viol. Son grato a vostra nipote, signore, ed ella è lo scopo del mio viaggio.
Tob. Tastatevi le gambe, messere, e mettetele in moto.
Viol. Le mie gambe m’intendono meglio ch’io non intenda quello che voi volete dirmi, consigliandomi di tastarle.
Tob. Voglio dire, signore, che entriate.