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388 LA MALA FEMMINA DOMATA


Sart. E soppannate di raso chermisi.

Pet. Qui sta l’errore.

Grum. Sì, sta qui. Io comandai che le maniche fossero tagliate e poscia riunite. Non dissi nulla nè di fodera nè di raso.

Sart. Quello che io affermo, è vero; e se fossimo lungi di qui ve lo proverei.

Grum. Ti raggiungerò frappoco; prendi la tua carta e dammi la tua auna: lascia quindi fare a me.

Or. Veramente, Grumio, tu avresti così il vantaggio delle armi.

Pet. Alle corte, amico, quella veste non fa per me.

Grum. Avete ragione, perchè ella potrebbe servire solo alla vostra signora.

Pet. Portatela via, e il vostro padrone ne faccia quell’uso che stimerà migliore.

Grum. Miserabile, guarda bene che la veste della mia signora non debba servire ad alcun uso per tuo padrone.

Pet. Che cosa vuoi tu dire con ciò?

Grum. Oh! nulla; era un’idea che mi passava pel capo.

Pet. Ortensio (a parte), di’ che vuoi veder pagato il sartore. — Tu esci dunque di qui, e non infestarci più.

Or. Sartore, io ti pagherò dimani il tuo abito. Non isdegnarti di quello che egli ti disse nella sua collera. Vattene, e saluta il tuo padrone. (il Sart. esce)

Pet. Vieni, Caterina, noi andremo a vedere tuo padre; rimanti cogli abiti semplici che ora indossiamo: le nostre saccoccie saran turgide di oro, se i vestiti sono umili; ed è sempre l’anima che rende ricco il corpo. Come il sole traluce dalle nubi più tenebrose, così l’onore traspare dagli abiti più rozzi. La cornacchia è forse di maggior pregio della lodola, perchè la sua penna è più bella? il serpente val forse meglio dell’anguilla, perchè i suoi colori sono screziati? Oh no, no, cara Caterina: e così nulla tu scemi del prezzo tuo, essendo avvolta in quell’abito modesto. Se credi che vi sia vergogna, ponila sul conto mio. Via, sii lieta; noi partirem tosto per andare a celebrare una festa nella casa di tuo padre. Su via senz’altri indugii. Fateci trovare i cavalli alla fine del viale, dove andremo a piedi passeggiando. Non sono che le sette, e giungeremo in tempo per desinare.

Cat. Vi assicuro, signore, che son quasi le due, e passerà l’ora della cena prima che giunti siamo colà.

Pet. Saranno le sette quando monterem a cavallo. In qualunque cosa ch’io dica, ch’io faccia o ch’io abbia il disegno di fare, voi mi contraddite sempre. Io partirò all’ora che ho detto. (escono)