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ATTO QUARTO 385

dote, che mi deve dare una delle figlie di Battista, ricco cittadino di Padova; io vi istruirò di tutte le circostanze. Venite con me, signore, per vestirvi come la convenienza richiede. (escono)

SCENA III.

Entrano Caterina e Grumio.

Grum. No, no, in verità; io non l’oserei per la mia vita.

Cat. Più ei m’oltraggia, e più il suo carattere s’inasprisce. Mi ha egli sposata per farmi morire di fame? Gli accattoni che vanno alla porta di mio padre ottengono una limosina, o se è loro rifiutata, la trovano altrove. Ma io che non ho mai saputo pregare, e che non avevo avuto bisogno di farlo, io muoio d’inedia e di sonno: alimentata sono di grida e d’imprecazioni, e ciò che mi fa più disperare, è che egli pretende di provarmi con tutti questi mali trattamenti il suo amore. Si direbbe, ad udirlo, che se io assaggiassi di qualche cibo, o mi abbandonassi in preda al riposo, dovessi cader tosto malata, o anche morirne. Ti prego, Grumio, vammi a trovare qualche cosa da mangiare, quale che si sia.

Grum. Prendereste un piede di bue?

Cat. Sì, eccellente: fammelo recare.

Grum. Temo che non sia vivanda troppo biliosa. Meglio sarebbe forse un po’ di stufato.

Cat. Ebbene, buon Grumio, vammi a prendere quello che vuoi.

Grum. Non so, ma non vorrei far male. Forsechè una fetta di vitello sarebbe la pietanza più adatta per voi?

Cat. È pietanza che molto mi piace.

Grum. Ma dicono che accenda il sangue.

Cat. Non vi berrò dietro che acqua, e ne smorzerò ogni fuoco.

Grum. No, no, non voglio che vi indeboliate coll’acqua.

Cat. Ebbene berrò vino: farò quello che vorrai.

Grum. Il vitello e il vino, o il vitello solo debbo recare?

Cat. Vattene, esci di qui, villano scellerato, che ti piaci nell’insultarmi (battendolo). Sventura a te e a tutti i tuoi simili che si fanno qui un giuoco della mia miseria! Vattene, esci di qui, ti dico. (entra Petrucchio, recando una vivanda; e con lui Ortensio)

Pet. Come sta la mia diletta Caterina? Oh! siete voi piangente?