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Luc. Partita voi, vaga donzella, non ho più alcuna ragione per restare. (esce)

Or. Ma io ne ho per ispiare quel pedante, che da quanto mi avveggo dev’essere invaghito di lei. Bianca, se i tuoi pensieri son tanto abbietti da fermarsi sul primo avventuriere che ti vien innanzi, ti abbia chi vuole; io non cercherò di possederti. Ortensio saprà disamare una donna incostante. (esce)

SCENA II.

Dinanzi alla casa di Battista.

Entrano Battista, Gremio, Tranio, Caterina, Bianca, Lucenzio e seguito.

Batt. Signor Lucenzio, ecco il giorno fermato, (a Tran.) in cui Caterina e Petrucchio debbono divenire sposi, e nondimeno noi non abbiamo alcuna novella di nostro genero: che pensarne? Qual onta che lo sposo manchi alla sua parola, allorchè il sacerdote aspetta per compiere i riti del matrimonio! Che dite Lucenzio di tale oltraggio?

Cat. L’oltraggio non è che per me. Io sono costretta a dare la mia mano contro l’inclinazione del mio cuore a un insensato cho decreta a suo senno il giorno delle nozze, e poi manca ad esse. Ve l’avevo ben detto ch’egli era un pazzo, che nascondeva sotto un’apparenza di franchezza sincera un cuore malvagio e ingannatore. Io a cagion vostra sarò ora mostrata a dito, e si dirà di me: è quella la sposa di Petrucchio che sta aspettando ancora suo marito.

Tran. Abbiate pazienza, buona Caterina, e voi anche, signor Battista. Sull’onor mio! Petrucchio non ha che intenzioni oneste, qual che si sia il caso che lo tiene ora lontano. Quantunque un po’ troppo aperto, egli è uomo di proposito, e sa unire la giovialità al più illibato carattere.

Cat. Oh quanto vorrei non lo aver mai veduto in vita mia! (esce piangendo, seguita da Bianca e da altri)

Batt. Va, mia figlia, non posso biasimare le tue lagrime, perocchè la pazienza di un angelo non reggerebbe a insulto siffatto; meno ancora quella d’una donna del tuo carattere aspro e collerico. (entra Biondello)

Bian. Signore, signore, novelle, vecchie novelle, e nuove ancora, quali mai non ne udiste.

Batt. Quali novelle?