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68 | IL RE ENRICO VI |
cavaliere, fate voto di non mai disobbedire, di non mai essere ribelle alla corona d’Inghilterra; nè voi, nè i vostri nobili. — (Carlo e i suoi fan l’atto di sommissione) Ora licenziate il vostro esercito, riponete nei tempii i vostri stendardi, e i vostri tamburi si taciano: perocchè noi vi promettiamo di mantener sempre una pace sincera. (escono)
SCENA V.
Londra. — Una stanza nel palazzo.
Entra il re Enrico, in conferenza con Suffolk; Glocester ed Exeter li seguono.
Enr. Il maraviglioso ritratto che fatto avete, nobile conte, della bella Margherita mi ha lasciato nello stupore. Le sue virtù, splendide per tante doti, eccitano nel mio cuore, prima tranquillo, tutte le passioni dell’amore. Simile ad un ruscello che il furore dei venti spinge contro uno scoglio, il mio cuore agitato dal racconto di così gran merito si sente invincibilmente travolto, o verso il naufragio, o verso il termine in cui potrò godere della sua tenerezza.
Suff. Ebbene, buon principe, il mio racconto superficiale non è, per così dire, che il debole esordio di tutte le lodi di cui essa è degna. Le perfezioni e i vezzi di quella celeste principessa riempirebbero un intero volume, se avessi bastante arte per descriverli, e immergerebbero nell’estasi l’immaginazione più torpida è più insensibile; perocchè ciò che mette il colmo al suo merito, è che con tanta beltà ella dichiara, coll’anima più umile e più modesta, che soddisfatta si trova d’esser sottomessa ai vostri ordini se retti sono; e che parata è ad amare Enrica come suo signore e padrone.
Enr. Nè mai Enrico vorrebbe esigere da lei altro che ciò che possono concedere l’onore e la virtù: perciò, milord protettore, date il vostro assentimento, onde Margherita divenga regina di Inghilterra.
Gloc. Io mi farei così a piaggiare l’ingiustizia e il delitto. Voi sapete, mio principe, che Vostra Maestà è vincolata con altra dama del merito più stupendo. Come vi togliereste a questo contratto solenne senza offendere il vostro onore di un rimprovero vergognoso?
Suff. In quella guisa con cui un re si esime dal compiere giuramenti illegittimi; o come un atleta che in un torneo, avendo