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352 | LA MALA FEMMINA DOMATA |
ATTO PRIMO
SCENA I.
Padova. - Una piazza pubblica.
Entrano Lucenzio e Tranio.
Luc. Tranio, sospinto dal violento desiderio che avevo di vedere la bella Padova, nutrice delle arti, eccomi giunto in Lombardia, ridente giardino d’Italia. Io venni qui col permesso di un padre che mi ama, e accompagnatovi da te, degno servitore: respiriamo qui dunque, e cominciamo un corso scientifico e letterario. Pisa, rinomata pe’ suoi illustri cittadini, mi diede nascita; Vincenzo mio padre, mercatante che faceva tanto commercio, discende, lo sai, dai Bentivogli. È necessario quindi che il figlio di Vincenzo, educato a Firenze, si abbellì d’ogni virtù; e questo io voglio fare. Ho lasciata Pisa, e son venuto a Padova, come uomo che abbandona una leggiera superficie d’acqua per ire ad immergersi in un fiume, largamente abbeverandosi de’ suoi flutti.
Tran. Lodo assai il mio amabile signore per vederlo perseverare nei suoi nobili divisamenti. Solo, mio caro padrone, mentre ammiriamo tanto la virtù e lo studio della morale, guardiamoci dal divenire stoici, ve ne scongiuro, nè siamo così ligi ai dori precetti di Aristotile, che l’amabile Ovidio debba essere interamente proscritto da noi. Parliam di logica con cognizione, ma siamo retori parlandone; profittiamo della musica e della poesia per ricrearci gli spiriti, e sopratutto versiamo assai nelle matematiche e nella metafisica, scienze prime del mondo.
Luc. Ti ringrazio, Tranio, e ho nel concetto che meritano le tue parole. Ah Biondello! se tu fossi qui giunto, noi faremmo ora i nostri apparecchi insieme, e prenderemmo quell’albergo che ci tornasse più idoneo, per ricevere quegli amici che il tempo ci procaccierà in Padova. Ma chi son coloro che vengono verso di noi?
Tran. Saranno persone mandate per ben accoglierne. (entrano Battista, Caterina, Bianca, Gremio e Ortensio: Lucenzio e Tranio stanno in disparte)