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come gli altri faranno per non ridere, qnando s’inchineranno davanti a quel ribaldo. Entrerò per insegnare a tutti la lezione, e la mia presenza varrà forse meglio d’ogni altro a contenerli. (escono)

SCENA II.

Una camera da letto nella casa del Signore.

Sly è vestito di una magnifica veste da camera e circondato da molti domestici in livrea; alcuni con bacini d’argento, altri con specchi e profumi. Il Signore è fra di loro, vestito anch’egli da domestico.

Sly. Per amor di Dio! datemi un po’ di vernaccia.

Dom. Vossignorìa desidera cipro o canarie?

Dom. Vostro Onore si degnerebbe assaggiare quest’acqua d’arancio?

Dom. Quale vestimento indosserà oggi Vostra Grandezza?

Sly. Io sono Cristoforo Sly; non mi chiamate nè Onore, nè Grandezza; non ho mai bevuto vino di canarie nè di cipro, e prima che ber acqua d’arancio, mangerei un quarto di bue. Non mi chiedete qual abito io voglia indossare. Non ho che un abito, come non ho che un dorso; il numero delle mie calze corrisponde a quello delle mie gambe, quello delle mie scarpe a quello dei miei piedi, e spesso ho anche più piedi che scarpe; i pollici dei piedi miei fanno poi spesso capolino dai loro calzari.

Sig. Il cielo dissipi dalla vostra mente queste bizzarre idee! Oh monsignore! è ben tristo che un uomo del vostro grado, della vostra nascita, possessore di sì vasti dominii, e avuto in tanta considerazione, sia imbevuto di sentimenti così bassi!

Sly. Volete farmi impazzire? Non son io Cristoforo Sly, figlio del vecchio Sly di Burton, facchino un tempo, ed ora calderaio? Chiedete a Maria Achet, l’ostessa di Wincot, se mi conosce; e se non dice ch’io le debbo quattordici soldi di mezzo vino bevuto, abbiatemi in conto del maggior bugiardo di tutta la cristianità. Che! Ho io forse la febbre calda? Ecco.....

Dom. Oimè! è appunto ciò che fa pianger sempre la vostra signora.

Dom. È ciò e non altro che empie d’angoscia i vostri domestici.

Sig. E la cagione è questa per cui i parenti nobilissimi che