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ATTO QUINTO | 341 |
Re. Ora ti credo una meretrice.
Dian. Per Giove! se conobbi mai alcun uomo foste voi solo.
Re. Perchè hai dunque accusato fino ad ora Beltramo?
Dian. Perchè egli è reo e non è reo; perchè sa ch’io non son più intatta, e lo giurerebbe com’io giurerei che lo sono, quantunque egli nol sappia. Gran re, io sono onesta; e sono ancora fanciulla o sposa solo di quel vecchiardo. (additando Lafeu)
Re. Ella abusa della nostra pazienza; guidatela in prigione.
Diana. Buona madre, andatemi a cercare chi guarentisca per noi. — Aspettate un momento, illustre signore: (la Ved. esce) ella è ita prendere il gioielliere, a cui appartenne l’anello, e che risponderà per me: quanto a questo giovane cavaliere che mi ha ingannata, com’ei ben sa, quantunque però non mi abbia fatto alcun danno, io qui rinunzio a lui. Egli conosce che ha contaminato il mio letto, e che ha ingenerato un figlio nella sua sposa, e sebbene quella sposa sia morta, ella sente però entro di sè viver quel figlio. In breve ecco il mio enigma: una donna morta ha in sè un figlio vivo: e questa è ora la parola dell’enigma che arriva. (rientrano la vedova e Elena).
Re. V’è forse qualche incantatore che inganna i miei occhi? È quello un oggetto reale?
El. No, mio caro sovrano, non è che l’ombra di una donna che voi vedete; il nome solo e non la persona.
Bel. Io perdono ad entrambe.
El. Oh mio caro sposo! allorchè ero come questa fanciulla, voi sembravate un prodigio ai miei occhi. Eccovi il vostro anello, ed ecco la vostra lettera. Qui sta scritto: «quando potrete avere un giorno quest’anello che porto in dito, e sarete incinta di me, ecc.» tutto ciò è accaduto. Volete esser mio ora che mi appartenete con una doppia conquista?
Bel. Se ella può ciò provarmi, io voglio, mio principe, amarla teneramente per sempre.
El. Se non ve lo dimostrerò all’evidenza, o se giungerete a convincermi di mendacio, un divorzio crudele ci divida per tutto il nostro avvenire. — Oh mia cara madre! io vi rivedo ancora.
Laf. Gli occhi mi pungono e sto per piangere. — Su, buon tamburo, (a Parolles) prestami una pezzuola. Te ne ringrazio; va ad aspettarmi in casa; vuo’ che tu serva a’ miei diporti. Lascia quegl’inchini che mi dispiacciono.
Re. Minutamente ci si narri questa istoria, onde la certezza della sua veracità ne colmi tutti di gioia. — Voi (a Dian.) se siete ancora quale dovete essere, potete eleggervi un consorte, ed io