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340 È TUTTO BENE QUEL CHE A BEN RIESCE


Par. Come i gentiluomini sogliono amare le donne.

Re. Che volete dire?

Par. Che l’amava e non l’amava.

Re. Come tu sei e non sei un furfante, non è vero? Che mariuolo è costui coi suoi equivochi!

Par. Sono un pover’uomo ai servigi di Vostra Maestà.

Laf. É un buon tamburo, signore, ma un cattivo oratore.

Diana. Sapete voi ch’ei promettesse di sposarmi?

Par. Veramente ne so più che non vorrei dire.

Re. Non vuoi tu dunque esporre tutto quello che sai?

Par. Lo dirò, se tale è il volere di Vostra Altezza. Io fui confidente d’entrambi loro, come vi dissi, ed egli l’amava oltre ogni credere, e ne era fatto insensato. Parlava quindi di Satana, dei limbi, dei fuochi del purgatorio, delle furie, e di non so quant’altre cose; ed io ero tanto in credito, che sapevo quando avevano colloquii la notte, e mille altre circostanze; come per esempio ch’ei promesso le aveva di sposarla, e più cose ancora che mi attirerebbero il suo sdegno, s’io le rivelassi, ciò che non farò.

Re. Tu hai già tutto detto, a meno che non aggiungessi che sono maritati: ma sei astuto troppo nelle tue deposizioni, e perciò fatti a parte. — Voi dite che quest’anello era vostro?

Diana. Sì, mio buon signore.

Re. Dove lo compraste? o chi vel diede?

Dian. Nessuno me lo diede nè l’ho comprato.

Re. Chi ve lo prestò dunque?

Dian. Nè tampoco mi fu prestato.

Re. Allora dove lo trovaste?

Dian. Io non lo trovai.

Re. Se non l’avete ottenuto con alcuno di questi mezzi, come lo poteste dare a Beltramo?

Dian. Io non glielo diedi.

Laf. Questa giovine, mio signore, ha la flessibilità di un guanto; essa si ravvolge come meglio le piace.

Re. Quest’anello fu mio, ed io lo donai alla sua prima moglie.

Dian. Ciò non può essere.

Re. Conducetela altrove; ella comincia a spiacermi. Sia guidata in prigione con lui, e se non dice come ottenne questo anello, muoia dopo il termine di un’ora.

Dian. Non mai ve lo dirò.

Re. Allontanatela.

Dian. Vi darò una cauzione, signore.