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ATTO QUINTO 337

barbaro... ma ciò pon può essere; e nondimeno... Tu la odiavi mortalmente, ed ella è morta, e nulla me ne può convincere di più che la vista di questo anello. — Guardie, impossessatevi di costui, (le guardie obbediscono) Qual che siasi l’evento, l’esperienza che ho del passato mi giustifica abbastanza dal rimprovero di troppa credulità, e se sono colpevole di debolezza è per non avere abbastanza ascoltati i miei timori. Sia condotto altrove. Vogliamo approfondire questo mistero.

Bel. Se rìescite a provare che questo anello era di Elena, proverete del pari ch’io son giaciuto con lei a Firenze, dove ella non ha mai posto piede. (esce fra le guardie; entra un gentiluomo)

Re. Son pieno di sospetti.

Il Gent. Generoso monarca, ignoro se ho fatto bene o male, ma eccovi la supplica di una Fiorentina, a cui diversi ostacoli hanno impedito di venir da se stessa al vostro cospetto. La presi, intenerito dalle grazie di quell’infelice supplicante, che so essere già arrivata in questi luoghi. Si vede ne’ suoi sguardi inquieti l’importanza della sua inchiesta: e con voce commovente ella mi ha detto in poche parole cne Vostra Maestà stessa era in questa interessata.

Re. (leggendo) «Dopo mille proteste di sposarmi allorchè sua moglie fosse morta, arrossisco dicendolo, egli mi ha sedotta. Ora il conte di Rossiglione è vedovo, la sua erede è meco impegnata, ed è a luì che il mio onore è stato immolato. Egli è partito di nascosto da Firenze, senza prender congedo da alcuno, e lo seguo nella sua patria per ottenervi giustizia. Rendetemela, sire; voi lo potete; altrimenti un seduttore trionferà, e una povera fanciulla sarà per sempre infelice.

Diana Capuleto».

Laf. Comprerò piuttosto un genero al mercato, che prender questo.

Re. Bisogna dire che il cielo ti protegga, Lafeu, avendo scoperta in tempo questa nuova colpa. Si trovi l’infelice, e sia qui ricondotto anche il conte. (esce il Gent. con alcuni del seguito) Temo, signora, che la vita non sia stata crudelmente tolta alla povera Elena.

Cont. Ebbene, giustizia sui colpevoli. (entra Beltramo fra le guardie)

Re. Stupisco, che le donne siano per voi oggetti così spaventosi, che vi affrettiate a fuggirle tosto che avete fatto loro le promesse più sacre, e che nondimeno pensiate ad ammogliarvi.