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334 | È TUTTO BENE QUEL CHE A BEN RIESCE |
Laf. E egli vero? Fui dunque anche il primo che ti perdei.
Par. Non dipende che da voi, signore, il rimettermi un po’ in grazia; perocchè voi solo me ne cacciaste.
Laf. Via, malandrino, dovresti arrossire. Vuoi tu ch’io sia in pari tempo Dio e il diavolo? Che l’uno ti faccia ottenere favori e l’altro te li tolga? (squilli di trombe) Ecco il te che giunge: lo riconosco a questi suoni. Miserabile, anche ieri sera ho parlato di te, e sebben sii un tristo, ti resterà di che mangiare. Vien meco.
Par. Lodo Iddio per cagion vostra. (escono)
SCENA III.
La stessa. — Una stanza nel palazzo della Contessa.
'Squillo di trombe. Entrano il Re, la Contessa, Lafeu, Signori, Gentiluomini, guardie, ecc.
Re. In lei perdemmo un gioiello prezioso; e si fatta perdita ne ha impoveriti assai; ma vostro figlio, fatto traviare dalla sua follia, non ha abbastanza sentito tutta l’estensione del di lei merito.
Cont. È cosa fatta, mio re, e scongiuro Vostra Maestà di riguardare tal fallo come effetto della troppa giovinezza che, accendendo il sangue, spegne la ragione.
Re. Onorata signora, ho tutto perdonato, tutto dimenticato, sebbene la mia vendetta stesse per iscoppiare.
Laf. Debbo dirlo, se Vostra Maestà vuole permettermelo; il conte ha crudelmente offeso il suo re, sua madre e la sua sposa, ma è a se stesso che ha fatto il maggior danno, perdendo una moglie le di cui attrattive faceano meravigliare i più avvezzi a contemplare la beltà; e la di cui dolce voce si cattivava l’orecchio di tutti coloro che l’ascoltavano. Essa possedeva tante vìrtù, che i cuori più superbi e più della schiavitù nemici s’inorgoglivano di poterle ubbidire.
Re. L’elogio dell’oggetto che si è perduto ne rende la memoria anche più cara. Ebbene, fatelo venire; noi siamo riconciliati, e il primo nostro colloquio cancellerà tutto il passato. Ch’ei non si mostri però per chiedermi grazia; il motivo delle sue offese non esiste più, e noi sepelliamo il resto della nostra collera nell’abisso più profondo: ch’ei venga come uno straniero, e non come un reo: tale è la nostra volontà.
Un Gentiluomo. Questo gli esporrò, signore. (esce)