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ATTO QUINTO 333

alcun biasimo da ciò possa venirvi, spero invece ch’ei ve ne ringrazierà. Arriverò dopo di voi con tutta quella fretta che mi sarà possibile di usare.

Gent. Sarete obbedita.

El. Voi ne avrete ringraziamenti; senza quel di più che potrà forse accadere. - Rimontiamo a cavallo, e apprestiamoci a questo nuovo viaggio,

(escono)

SCENA II.

Rossiglione. — Il cortile del palazzo della Contessa.

Entrano il Villico e Parolles.

Par. Buon messer Savatch, date questa lettera a monsignor Lafeu. Fui altra volta meglio riconosciuto da voi, allorchè vestivo abiti più splendidi e più belli; ma oggi caduto come sono nella fossa della fortuna e infangato, tramando l’odore della mia disgrazia.

Vil. Le disgrazie della fortuna devono essere bene sconcie se esali l’odor cattivo che dici. Mettiti sotto vento. Su via, allontanati.

Par. Ve ne supplico, consegnate questa lettera.

Vil. Allontanati, ti dico; non darò carte sfortunate ad alcun gentiluomo! Ma mirate che viene egli etesso (entra Lafeu). Ecco un favorito della fortuna, signore, un seguace della fortuna, che è caduto in una pozzanghera; da cui, com’egli stesso dice, è uscito tutto infangato. Vi prego di trattarlo come meglio potrete, perch’io compatisco alle sue disgrazie col sorriso della consolazione, e l’abbandono alla vostra grandezza.

(esce)

Par. Monsignore, io sono un uomo, cui la fortuna ha crudelmente trattato.

Laf. E che volete ch’io vi faccia? Qual è la frode da voi commessa, perchè la fortuna vi abbia abbandonato; ella che è tanto buona, sebbene non tolleri che i malandrini prosperino lungamente al suo servizio? Prendete, ecco un quarto di scudo; i giudici di pace vi riconcilino colla sorte; io ho altri affari.

Par. Supplico Vostro Onore di ascoltare almeno una parola.

Laf. Volete un altro quarto di scudo? Eccolo: ma tacete.

Par. Il mio nome, signore, è Parolles.

Laf. Voi volete dunque dire più d’una parola? Ebbi troppa fretta! Datemi la vostra mano. Come sta il vostro tamburo?

Par. Oh mio signore! voi foste il primo che mi trovaste...