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ATTO SECONDO 305


Bel. Via, via, non più di ciò.

El. E che cercherò sempre con tutti gli sforzi miei di riparare quel fallo che la stella della mia nascita ha lasciato in me.

Bel. Finiamo; ho molta fretta. Addio, partite.

El. Ve ne prego, signore, permettete...

Bel. Che volete dire?

El. Non son degna del tesoro che possiedo, e non oso dire che è mio: nondimeno mio è; come un ladro sagace però io vorrei soltanto impossessarmi di quello che la legge mi concede.

Bel. Che cosa vorreste?

El. Qualche cosa... nulla... non vorrei dirvi quello che voglio, eppure quando gli amici si separano sogliono abbracciarsi.

Bel. Ve ne prego, non indugiate, e andate tosto a cavallo.

El. Non infrangerò i vostri ordini, mio buon signore.

Bel. Dove sono gli altri miei uomini? — Addio. (a El. che esce) Va nella mia casa dove io mai non verrò, finchè saprò trattare una spada, o udire i suoni di un tamburo. — Su dunque, parliamo, e pensiamo alla nostra fuga.

Par. Sta bene; coraggio!

(escono)