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ATTO SECONDO | 291 |
far prendere al gran Carlomagno la penna per iscriverle una lettera d’amore.
Re. Scriverle?
Laf. Sì, perchè è una medichessa: ell’è qui venuta, se volete vederla. Sull’onor mio, quando da sì pazzo esordio proceder si possa a discorso grave, vi dirò che ho avuto un colloquio con un individuo che pel suo sesso, per la sua giovinezza, per la dichiarazione del motivo del suo viaggio, pe’ suoi savi ragionamenti, e per la costanza della sua risoluzione, ha risvegliata in me più meraviglia ch’io non ardirei confessarne per tema di non venir riputato goffo. — Volete vederla, sire, (che ciò ella chiede con ardore) e sapere cosa domanda? poscia schernitemi a vostro senno.
Re. Via, Lafeu, introduci questa tua nona meraviglia, onde possiamo dividere la tua ammirazione, o guarirtene, screditando ]a tua demenza.
Laf. Oh! fra breve penserete come me. (esce)
Re. Così i suoi lunghi prologhi riescono sempre a nulla. (rientra Lafeu con Elena)
Laf. Entrate, entrate.
Re. Non andrebbe più celere quando avesse l’ali.
Laf. Entrate. Ecco Sua Maestà; dichiarate le vostre intenzioni; voi avete un bel volto, ma Sua Maestà non teme tale specie di traditori. Io sono eguale a Pandaro, lasciandovi insieme. Addio. (esce)
Re. Ebbene, vaga fanciulla, è con me che volete parlare?
El. Sì, mio buon signore; e Gerardo di Narbona fu mio padre, ben conosciuto per l’arte ch’ei professò.
Re. Io pure lo conobbi.
El. Posso dunque astenermi dal farvene l’elogio, perchè basta che l’abbiate conosciuto. Ora al punto di morte egli mi diede molte ricette, ed una fra le altre, frutto delle sue lunghe elucubrazioni, che mi comandò di custodire come un terzo occhio. Io la serbo infatti colla maggior cura, ed avendo inteso che Vostra Maestà era tocca dalla fatal malattia cui solo il rimedio di mio padre poteva guarire, son venuta ad offrirvelo col mio soccorso nell’umiltà del mio affetto profondo.
Re. Vi ringraziamo, giovine bellezza, ma non possiamo esser sì creduli in fatto di guarigioni quando tutti i nostri più dotti medici ci abbandonano, e l’intero collegio ha deciso che i mille sforzi dell’arte riescirebbero inutili contro questo nostro incurabile languore. Dico che non dobbiamo disonorare il nostro