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286 È TUTTO BENE QUEL CHE A BEN RIESCE

e le ricchezze sono eguali: Diana non è la regina delle vergini, poichè ha potuto permettere che la sua sfortunata seguace sia sorpresa e vinta al primo assalto, e non le resti più alcuna speranza di redenzione». Ella diceva ciò coll’accento più triste che abbia mai adoperato lagnandosi una fanciulla, ed ho creduto, signora, che fosse mio dovere istruirvene tosto, onde preveniste le sventure che da ciò possono derivare.

Cont. Avete adempito agli obblighi di un uomo onesto; ma serbate per voi solo questo segreto. Molti sentori io avevo già di ciò, ma eran tutti sì vaghi che non sapevo a qual sentenza appormi. Lasciatemi, ve ne prego, e siate cauto: ve ne dirò di più un’altra volta: per ora vi ringrazio. (il Mag. esce, ed Elena entra) Così io pure era quando la giovinezza mi sorrideva. Se badiamo alla natura, tali debolezze ne appartengono; sì fatte spine sono inseparabilmente collegate colla rosa dei nostri primi anni: il nostro sangue è proprio solo di noi, e tutto ciò sta nel nostro sangue. Quando la forte passione dell’amore si imprime in un cuor giovane, essa divien suggello della verità della natura. La memoria di quei bei giorni, che son passati per me, mi ricorda quei medesimi falli. Ah! non li riputavo allora falli: ma era li trovo ben tali. — Ella mi sembra inferma.

El. Che volete da me, signora?

Cont. Tu sai, Elena, ch’io sono una madre per te.

El. Voi siete la mia onorevole signora.

Cont. No; madre ti sono. Perchè non mi chiameresti madre? Allorchè ho proferito il nome di madre parvemi che tu vedessi un serpe. Che vi è dunque in tal nome da scuoterti? Sì, te lo dico, madre ti sono, e ti pongo nel novero dei miei figli. Un’adozione è stata spesso più forte della natura; e la scelta nostra può svegliare un’affezione pari a quella. Tu non mi hai fatto trovare i dolori che straziano il seno di una madre, e nondimeno io sento per te tutta la tenerezza materna. In nome di Dio! fanciulla, ti agghiaccia forse il sangue il sentir dire ch’io sono tua madre? Perchè quel pianto, iride dai mille colori, sgorga dai tuoi occhi? Perchè? perchè sei mia figlia?

El. Perchè non lo sono.

Cont. Ti dico, che sono tua madre.

El. Perdonatemi, signora, il conte di Rossiglione non può essere mio fratello; io sono di nascita oscura, ed egli appartiene ad una famiglia illustre: i miei parenti sono ignoti, e i suoi son nobilissimi; egli è mio signore, ed io vivo per servirlo e per morire son umile vassalla. Egli non può essere mio fratello.