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ATTO PRIMO 283


Re. Oh se avessi ancora quella lena che sentivo allorchè col padre tuo, uniti d’amicizia, facemmo insieme le nostre prime armi! Egli era esperto in tutti gli esercizi guerreschi di quei tempi, e si era formato sotto i più prodi capitani. Lungamente egli resistè alle fatiche della guerra, ma alfine la turpe vecchiaia ne afferrò entrambi, e ne cacciò lungi dai campi. Sento che le forze ritornano allorchè parlo del tuo buon padre.

Bel. La memoria delle sue virtù, sire, è scolpita in caratteri più gloriosi nel vostro cuore, che nol sia sulla sua tomba, e il suo epitafio è meno onorevole che gli elogi del mio re.

Re. Oh se fossi ancora con lui! — Egli soleva dir sempre..... (parmi intenderlo ancora: le sue care parole non si sperdevano nel mio orecchio, ma radicavansi nel mio cuore per portarvi utili frutti) ei soleva dire: «ch’io più non viva...» così dava a divedere la sua amabile e dolce malinconia, allorchè terminato aveva le innocenti celie di cui si piaceva.... «ch’io più non viva, tosto che il fanale dei miei dì comincierà ad oscurarsi, onde il resto del suo splendore non divenga un oggetto di scherno per chi mi sta intorno!» Questo desiderio io pure spartivo con lui; e un simil voto faccio dopo di esso. Poichè non posso più recare all’alveare nè cera nè miele, vorrei cedere il posto a un’ape migliore, che sapesse meglio adoperarsi.

Signore. Voi siete amato, sire; e quelli anche che meno vi diligono vi ricorderanno per primi con gran dolore.

Re. Occupo un posto lo so. — Quant’è, conte, che il medico di vostro padre è morto? Egli era assai famoso.

Bel. Circa sei mesi, signore.

Re. Se vivesse ancora vorrei provarlo. — Datemi il vostro braccio. — Tutti gli altri medici mi hanno stancato coi troppi rimedii: la natura ed il male contendono adesso a loro agio. Siate il benvenuto, conte; mio figlio non mi è più caro di voi.

Bel. Ringrazio Vostra Maestà. (escono; squillo di trombe)

SCENA III.

Una stanza nel palazzo della Contessa.

Entrano la Contessa, il Maggiordomo e un Villico.


Cont. Ora vi ascolterò: che dite di quella donzella?

Mag. Signora, desidererei che si potesse trovare nel calendario de’ miei passati servigi la nota di tutti gli sforzi che ho fatti per contentarvi; perchè noi offendiamo la nostra modestia, e oscuriamo lo splendore dei nostri meriti pubblicandoli da noi stessi.