Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
ATTO TERZO | 241 |
vantarsi di quello che ba, perocchè non ha di qaanto possiede che il sentimento che viene in lui riflettuto dagli altri: lo splendore delle sue virtù illumina e riscalda gli altri, e gli altri rimandano a volta loro quel calore all’uomo da cui è emanato.
Ach. Non vi è nulla in ciò di strano, Ulisse. La bellezza di un viso non è conosciuta da quegli che lo possiede, È dagli occhi altrui, ch’esso impara a conoscersi: l’occhio non può vedersi da sè, ma ad altr’occhio opponendosi, in quello effigia la sua bella forma: in ciò, vel ripeto, non è nulla di strano.
Ul. Non stupisco della proposizione; essa è familiare: ma mi fermo alle conseguenze che se ne possono trarre. Nell’illustrazione di tale prova si dimostra che l’uomo non possiede nulla, quali che si siano le sue ricchezze, fino a che ei non le comunica ad altri; da se stesso ei non può apprezzarle sin che approvate non le ha vedute da quelli ai quali si estendono; così una porta d’acciaio, opposta ai raggi del sole, riceve e tramanda la sua immagine e il suo calore. Queste idee mi hanno immerso nella meditazione, e ne ho fatto tosto l’applicazione a quell’Ajace, ignoto ancora a noi, e a se stesso. Cielo! che specie d’uomo è colui? Un vero cavallo che porta un tesoro che non conosce. Oh natura! quante qualità stanno in quell’individuo, da noi disprezzato, che potrebbero divenire preziose coll’uso! Quante cose all’opposto, che si usurpano stima, e che sono di un inutile valore! È dimani che vedremo una lotta che il caso ha affidata a lui, e in cui egli diverrà famoso. Cielo! quanti uomini s’arrampicano su per le erte vie della fortuna, mentre altri, che porrebbero ascenderle con passo sicuro, si giacciono inoperosi. Ajace avendo assunto di rispondere alla sfida di Troja è divenuto l’idolo di tutto l’esercito
Ach. Credo quello che mi dite, perchè essi mi son passati accanto, come uomini avari passerebbero innanzi a un mendico: non mi hanno rivolte nè parole, nè sguardi cortesi. Sarebbero le mie geste già obbliate?
Ul. Il tempo, signore, porta sul dosso una bisaccia, in cui pone le elemosine che raccoglie per l’obblio; gigante enorme, mostro d’ingratitudine. Quelle limosine sono le buone opere passate, che si estinguono nel nascere, che si dimenticano compite; la perseveranza solo, signore, e di onore; aver fatto, è come esser fuori di moda, in quella guisa che una spada arrugginita è soggetto solo di scherno. Prendete il cammino che vi si offre; avvegnachè l’onore percorre un sentiero sì angusto che non vi può passare che un uomo alla volta; conservate il passo.