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ATTO TERZO 233


Pan. Indovinate? Che cosa? Datemi nn istrumento. A noi, regina.

El. Questa è vera cortesia per parte vostra.

Pan. Mia nipote è orribilmente innamorata di una cosa che voi possedete, bella regina.

El. Essa l’avrà, purchè non sia il mio caro Paride.

Pan. Egli? No, essa nol vuole. Ella ed egli fan due.

El. Una riconciliazione dopo uno sdegno potrebbe di due far tre.

Pan. Via, via, non vuo’ più udir nulla da voi: vi canterò ora una canzone.

El. Sì, sì, te ne prego. In verità, signore, il vostro preludio è buono. L’amore sia il soggetto del vostro canto: quell’amore che deve tutti tirarne al precipizio. Oh Cupido, Cupido, Cupido!

Pan. L’amore! sì, di esso si canti.

Par. Amore! a meraviglia; di null’altro fuorchè d’amore.

Pan. In verità così comincia la canzone:

«Amore, amore e null’altro che amore, che solo impera e regna sulle anime: assoggettiamoci alla di lui potenza, perocchè nulla sfugge ai dardi ch’egli vibra».

«Veleno mortale non è quello che traspira da esso, ma fuoco arido e crudele che avvampa sempre: gli amanti feriti dal suo dardo, dicono: oimè, io spiro! ma poi si rinfrancano e gridano: ora solo esisto».

«È un’estasi, un delirio; l’amore non è che un dolce tormento. I sospiri mutano a diletto, le speranze a gaudii; desiderii e brame non son che felicità».

El. Amore è questo fin sopra gli occhi.

Par. Non mangia che colombe l’amore: un tale alimento gli infiamma le viscere sì, che poscia ne derivano i caldissimi desiderii.

Pan. Si genera così l’amore? Sì, esso vive di desiderii ardenti e d’ardenti fatti. Ma chi son oggi, caro signore, quelli che combattono?

Par. Ettore, Deifobo, Eleno, Antenore e tutti i prodi di Troia. Io pure mi sarei armato, ma la mia Elena nol volle. Come fu che mio fratello Troilo non pensò di andare al campo?

El. Egli ha altri uffici, voi lo sapete, Pandaro.

Pan. No, in verità, bella regina. Desidero d’udire come si saran comportati oggi. — Voi poi farete le scuse di vostro fratello.

Par. Questo farò.

Pan. Addio, dolce regina.