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ATTO PRIMO | 221 |
SCENA II.
Troja. — Una stanza nel palazzo di Priamo.
Entrano Priamo, Ettore, Troilo, Paride ed Eleno.
Pr. Dopo tante ore, tante contese e tante parole, Nestore riede ancora per dirne, in nome dei Greci, che restituiamo Elena, e che così s’obblierà tutto il passato. Che rispondete a tal risposta, Ettore?
Ett. Ne fo ragione, dicendo che niuno v’ha che tema meno di me i Greci; ma nondimeno, augusto Priamo, niuno l’ha pure che sia più di me sensibile alle sventure di questa terra. Una soverchia fidanza in se stessi è cagione soventi di terribili mali; un saggio timore è fecondo di sicurezza e di pace. Elena esca di Troja. Da che la prima spada è stata sguainata in questo litigio, fra le tante vittime immolata più di cento per mille erano di prezzo eguale ad Elena: parlo di quelle che perdute abbiamo. Se tante stragi abbiam tollerate per conservar un bene che non è nostro, e che quando pure lo fosse, non varrebbe il prezzo di dieci olocausti; qual valore può avere il motivo che ci fa ricusare di restituirlo?
Troil. Vergogna, vergogna, fratello. Pesate voi il prezzo e l’onore d’un re, d’un re così grande come lo è il nostro augusto padre, nella bilancia che serve agli oggetti volgari? Volete computare colla norma usata il valore dell’infinito suo merito, e ridurne la misura a proporzione così piccola, com’è quella dei ragionamenti e dei timori? Ne attesto gli Dei, quest’è un obbrobrio.
El. Non è da meravigliare che voi facciate sì poco conto della ragione, voi che sfornito ne siete. Dovrebbe dunque il padre nostro regger l’impero suo senza il soccorso dell’intelletto, perchè il vostro discorso che glielo consiglia n’è privo?
Troil. Fratello sacerdote, voi vi avvantaggiate nel sostenere i sogni e le visioni: l’arte del ragionare conserva la fodera ai vostri guanti. Ecco i vostri argomenti. Voi sapete che un nemico vuole la vostra perdita, sapete che una spada è pericolosa a trattarsi, e la ragione rifugge da ogni oggetto che le è di timore; chi stupirà dunque se Eleno, quando vede dinanzi a sè un Greco armato, impenna tosto ai piedi le ali della prudenza, e fugge così rapido come Mercurio dinanzi a Giove, così celere come una stella lanciata fuori della sua orbita? Se vogliamo favellar di ragione chiudiamo le nostre porte, e abbandoniamoci al sonno; il coraggio e l’onore avrebbero cuori di lepre, se non si alimentassero che di sì insipida vivanda. La ragione e la prudenza fanno impallidire i prodi, e abbattono i generosi.