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204 ATTO PRIMO


Troil. Caro Pandaro...

Pan. Ve ne prego, non mi parlate più; lascio ogni cosa come la trovai, e qui han termine le mie fatiche. (esce. Allarme)

Troil. Tacete, odiosi clamori! Tacete, suoni terrìbili, insensati! Bisogna bene che Elena sia bella, poichè voi, pazzi che siete, versate ogni dì il sangue per accrescere lo splendore della sua beltà. Io non so risolvermi a combattere per tal soggetto; esso è troppo lieve per la mia spada. Ma Pandaro... oh Dei, come mi cruciate! io non posso ottenere Cressida che col ministero di Pandaro, ed è tanto difficile indurre colui a farle la corte per me, quanto è difficile la virtù della nipote sua. In nome del tuo amore per Dafne, dimmi, Apollo, che cosa è Cressida, che cosa è Pandaro, che cosa sono io! Il letto di questa bella è l’India; ell’è la perla che vi riposa; io veggo il mobile e vasto oceano nello spazio che sta fra Ilio e la sua dimora; io sono il mercatante, e codesto Pandaro, che voga dall’una all’altra sponda, è la mia incerta speranza, il mio vascello e il mio convoglio. (allarme; entra Enea)

En. Ebbene, principe Troilo? Perchè non siete al campo?

Troil. Perchè non vi sono: questa risposta da donna è dicevole, avvegnachè è un esser donna lo starne lontano. Quali novelle, Enea, della battaglia?

En. Paride ne è ritornato ferito.

Troil. Ferito da chi?

En. Da Menelao.

Troil. Sgorghi il sangue di Paride; è una ferita che merita spregio. Egli è stato ferito da un corno di Menelao. (allarme)

En. Udiamo qual sollazzo vi sia oggi fuori della città.

Troil. Ve ne sarebbe uno che mi piacerebbe assai dentro la città, e ch’io molto desidererei. — Ma usciamo: veniste qui per ciò?

En. Passai di qui per andare al campo.

Troil. Usciamo dunque insieme. (escono)

SCENA II.

La stessa. — Una strada.

Entrano Cressida e Alessandro.

Cres. Chi fu che ne passò vicino?

Al. Elena e la regina Ecuba.

Cres. E dove vanno?

Al. Alla torre d’oriente, da cui si scorge tutta la valle circo-