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SCENA III.

Le frontiere di Mantova. — Un bosco.

Entra Silvia coi banditi.

Band. Venite, venite, calmatevi, convien che vi conduciamo dal nostro capitano.

Sil. Mille sventure maggiori mi hanno insegnato a sopportar questa pazientemente.

Band. Venite; conducetela.

Band. Dov’è il gentiluomo che l’accompagnava?

Band. Agile come un lepre ci è scappato, ma Mosè e Valerio lo seguono. Va con lei a oriente della foresta dov’è il nostro duce; noi pure inseguiremo il fuggitivo. Il bosco è circondato: ei non potrà mettersi in salro.

Band. Venite, vi condurrò alla caverna del nostro capitano: non temete; è un uomo retto e non permetterà che venga insultata una donna.

Sil. Oh Valentino! io soffro tutto questo per tua cagione!

(escono)


SCENA IV.

Un’altra parte del bosco.

Entra Valentino.

Val. Quanto impero ha l’abitudine sopra l’uomo! Queste ombrose foreste, questi boschi solitarii, io li amo più delle città popolate e fiorenti. Qui posso assidermi solo senz’esser veduto da alcuno, per unire la mia voce gemente ai canti flebili dell’usignuolo, raccontando le mie sventure agli echi che mi circondano. Oh tu, la di cui imagine abita nel mio cuore, non lasciare questa dimora sì lungo tempo senza padrone, per tema che fatta ruinosa non crolli, nè rimanga alcun vestigio di quello che fui. Soccorri alla mia vita colla tua presenza, Silvia, amabile ninfa, e allieta il tuo pastore, che omai dispera! — Quali grida, e qual tumulto si ode oggi in queste foreste? Saranno i miei compagni che faran legge del loro voleri. Essi inseguiranno forse qualche sciagurato passeggiere, perocchè sebben mi amino molto, debbo far assai per impedire che commettano azioni crudeli. Ritirati, Valentino; chi è che si avanza? (entrano Proteo, Silvia, e Giulia)