Pagina:Rusconi - Teatro completo di Shakspeare, 1859, V-VI.djvu/586


ATTO QUARTO 187

state fuori della stanza. Quanti signori vi sono che volessero fare altrettanto pei loro domestici? Non basta; giuro che fui messo in prigione pei furti suoi, e che senza ciò ei sarebbe stato ucciso; venni posto alla berlina per certe oche che aveva uccise, e con questo ho potuto riscattarlo. Ma a tutto ciò egli più non pensa, e ne ho avuto una prova nel modo con cui si è comportato allorchè ho preso congedo dalla signora Silvia. Non t’ho io sempre detto di guardarmi, e di far quello ch’io faccio? E quando mai mi hai tu veduto saltare contro il guardanfante d’una donzella? Commisi io mai tale asinità? (entrano Proteo e Giulia)

Prot. Il tuo nome è Sebastiano? Mi piaci, e voglio impiegarti tosto in qualche servigio.

Giul. In ciò che volete; farò quello che posso.

Prot. Ne son convinto. — Ebbene, villano? (a Laun.) Dove siete stato questi due giorni?

Laun. Portai a Silvia il cane, come imponeste.

Prot. E che disse di quel piccolo gioiello?

Laun. In verità, disse che il vostro cane era un cane, e che ringraziamenti da cane valevano per un tal dono.

Prot. Ma lo ricevè?

Laun. Nol volle, e ve l’ho riportato.

Prot. Le offristi forse questo tuo cane per me?

Laun. Sì signore, l’altro mi fu rubato dall’aiutante del carnefice in piazza del mercato: e perciò le esibii il mio, che è grosso dieci volte come vostro, e fa divenire il dono dieci volte maggiore.

Prot. Va, sgombra di qui e trova il mio cane, o non comparire mai più dinanzi a me. Va, dico: resti forse perchè io mi sdegni? Un malandrino è costui che mi fa arrossir sempre. (Laun. esce) Sebastiano, io ti ho preso al mio servizio, in parte perchè ho bisogno di un giovine che sappia con discrezione accudire ai miei negozi; avvegnachè di colui non mi posso fidare; ma specialmente poi pel tuo volto e per la tua condotta, che, se non erro nelle mie congetture, rivelano una buona educazione, un carattere sincero ed aperto. Per questo ti tengo meco. — Va, ora, e reca quest’anello a Silvia. Ben molto mi amava quella che me lo diede.

Giul. Pare che voi non l’amaste, poichè rigettate così i suoi doni. Si direbbe che ella fosse morta.

Prot. No no, credo che viva.

Giul. Oimè!

Prot. Perchè dici oimè?

Giul. Non posso ristarmi dai compiangerla.