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186 | I DUE GENTILUOMINI DI VERONA |
e alla giustizia della mia fuga, per sottrarmi a nozze ree, che il cielo e il mio destino punirebbero acerbamente. Con cuore così pieno di sventure, come il mare lo è di arene, vi supplico di accompagnarmi. Se rifiutate, nascondete almeno quello ch’io vi confidai, e mi arrischierò a partir sola.
Egl. Signora, compassiono i vostri dolori, e sapendo quanto il vostro amore è puro e intemerato, acconsento a partire con voi, e penso così poco alle conseguenze, come desidero ardentemente che voi siate felice. Quando volete che andiamo?
Sil. Stassera.
Egl. Dove vi troverò?
Sil. Alla cella di frate Patrizio, dove penso di confessarmi.
Egl. Non mancherò di venire: buon giorno, gentil donzella.
Sil. Buon giorno, gentile Eglamour. (escono)
SCENA IV.
La stessa.
Entra Launzio col suo cane.
Laun. Quando il domestico di un uomo ha in custodia un cane, le cose van male! Un cane che ho educato fino dalla sua più tenera infanzia; un cane che ho salvato dall’annegamento, allorchè tre o quattro de’ suoi ciechi fratelli e sorelle andavano ad affrontarlo; un cane che ho istruito in modo da far dire a tutti: ecco come vorrei avere un cane! Ebbene, tentai fame dono alla signora Silvia per incumbenza del mio padrone, e non appena entrato nella sala da pranzo, ei le saltò sul piatto e le rubò una zampa di cappone. Oh delitto orrendo! che un cane non sappia conformarsi a tutte le brigate! Ne vorrei avere uno che sapesse essere veramente cane, cane in tutto. Se non avessi avuto più spirito di lui, assumendomi la sua colpa, credo ch’ei sarebbe stato appeso; quant’è vero che vivo, sarebbe stato punito; e voglio che ne giudichiate. Ei si getta in compagnia di tre o quattro altri cani-signori sotto la mensa del duca, e restatovi appena un istante, vi fa opra tale, che tutti cominciano a gridare: fuori il cane! Sferzatelo, grida uno; appiccatelo, dice un altro. Mi ero già avveduto ch’ei doveva aver commesso qualche gran malefizio, onde andai dal valletto a cui era commesso di discacciarlo, e gli dissi: «amico, voi volete battere il mio cane?» Sì certo, voglio, ei mi rispose; «gli fate torto, ripresi io: io solo sono responsabile d’ogni suo fallo». Appagato della ragione, ei mi cacciò a ce-