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ATTO QUARTO | 185 |
Sil. Sono stanca, signore, delle vostre preghiere; ma poichè è dicevole che il vostro perfido cuore non adori che forme vane, mandate, dimani a prendere il mio ritratto, ed io ve ne darò. Buona notte.
Prot. Così buona, quanto la provano gli sventurati che il giorno appresso debbono andare al supplizio. {{Ids|(esce; e Silvia si ritira)}
Giul. Oste, volete andare?
Ost. Per la Beata Vergine! mi ero addormentato.
Giul. Di grazia, dove alloggia messer Proteo?
Ost. In casa mia; ma se non erro è quasi giorno.
Giul. Non per anche: questa notte però è la più lunga e più crudele ch’io abbia avuta in vita mia. (escono)
SCENA III.
La stessa.
Entra Eglamour.
Egl. Quest’è l’ora in cui Silvia mi impose di venire qui per conoscere le sue intenzioni. Ella vuol senza dubbio commettermi qualche grand’opera. — Signora, signora! (chiamando; Silvia torna alla finestra)
Sil. Chi chiama?
Egl. Il vostro servo ed amico, che aspetta i comandi che gli darete.
Sil. Messer Eglamour, mille volte buon dì.
Egl. Altrettante a voi, degna signora. — Come imponeste, venni per tempissimo, onde conoscere quali servigi volete da me.
Sil. Oh! Eglamour, voi siete un nobile cavaliere. Non crediate che vi aduli, giuro che dico la verità. Sì, voi siete prode, saggio, compassionevole, in breve, fornito delle più elette doti. Voi non ignorate il mio amore per l’esule Valentino, e quanto io son cruciata da mio padre che mi vorrebbe sposa di Turio, idiota orgoglioso, che io detesto. Voi avete amato, caro Eglamour, e vi ho udito dire che non mai dolore fu più straziante pel vostro cuor sensibile della morte di una donna adorata, alla quale avete giurato, sul suo sepolcro, un’eterna fede. Caro Eglamour, vorrei andar da Valentino a Mantova, dove mi fu detto che aveva riparato. Tale strada essendo pericolosa, desidererei vedermi accompagnata da un cavaliere prode come voi, di cui conosco la illibatezza e l’onore. Non mi opponete lo sdegno di mio padre, Eglamour; non pensate che al mio dolore, al dolore di un’amante,