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ATTO SECONDO | 165 |
SCENA V.
Una strada.
Entrano Speed e Launzio.
Sp. Launzio, sulla mia onestà! sii il benvenuto a Milano.
Laun. Non renderti spergiuro, dolce amico; perocchè io non sono il benvenuto. Sappi che un uomo non è mai perduto interamente finchè non è appiccato, e che non è il benvenuto in alcun luogo finchè non gli è stato pagato da bere, e la sua ostessa non gli ha detto: andate in pace.
Sp. Vien con me, pazzo, ti condurrò ad un’osteria, dove con cinque soldi ti udirai dire mille volte va in pace. Ma dimmi; in qual guisa si separò il tuo padrone dalla bella Giulia?
Laun. Dopo essersi abbracciati con gran serietà, si sono divisi ridendo.
Sp. Ma lo sposerà ella?
Laun. No.
Sp. Come dunque? La sposerà egli?
Laun. Neppure.
Sp. Allora si son disuniti?
Laun. No, stanno anche insieme come le due metà di un pesce.
Sp. In qual guisa sono dunque le cose?
Laun. Quando l’uno sta bene l’altra pure sta bene.
Sp. Qual ciuco sei? Non riesco ad intenderti.
Laun. Qual bestia sei tu, non intendendomi? La mia mazza intenderebbe.
Sp. Quello che dici?
Laun. Sì, e quello anche che fo: guarda che di quest’ultima cosa non ti dia un saggio.
Sp. Ma il matrimonio si farà?
Laun. Chiedilo al mio cane: se egli dice di sì, si farà; se dice di no, si farà; se scuote la coda e non dice nulla, si farà.
Sp. La conchiusione è dunque che si farà?
Laun. Carpito non mi avresti tal segreto mai fuorchè con una parabola.
Sp. È bene che con essa ci sia riuscito. Ma, Launzio, che dici tu del mio padrone divenuto così caldo amatore?
Laun. Lo conobbi sempre tale.
Sp. Che mai?