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158 DUE GENTILUOMINI DI VERONA


SCENA II.

Verona. — Una stanza nella casa di Giulia.

Entrano Proteo e Giulia.

Prot. Abbi pazienza, gentil Giulia.

Giul. Forza è bene, poichè non vi è rimedio.

Prot. Appena potrò, ritornerò.

Giul. Se non mi dimenticate ritornerete presto; abbiate intanto questo pegno per ricordarvi dell’amore di Giulia. (dandogli un anello)

Prot. Faremo un cambio; eccovi il mio.

Giul. E suggelliamo questo patto con un santo bacio.

Prot. Prendi la mia mano che ti giura una eterna fede, e se mai scorre un’ora del dì in cui io non sospiri d’amore per la mia Giulia, l’ora che la consegue mi arrechi qualche gran sventura per punirmi d’avere dimenticata la mia amante! Mio padre mi aspetta: non mi dir più nulla! È l’ora della maréa: non sparger lagrime. Le tue lagrime mi farebbero fermare più che non debbo. Addio, Giulia. (Giul. esce) Oh ella mi lascia senza dirmi una parola! Così adopera il vero amore: esso non ha detti; e la sua sincerità vien meglio provata dalle azioni che dai discorsi. (entra Pantino)

Pant. Messer Proteo, siete aspettato.

Prot. Va; vengo, vengo. Oimè queste separazioni rendono muti i poveri amanti. (escono)

SCENA III.

Una strada.

Entra Launzio con un cane.

Laun. No; anche quest’ora passerebbe prima che avessi finito di piangere; tutta la razza dei Launzii ha questo difetto: io ne ho ricevuta la mia parte, come il figliuol prodigo, e vado con messer Proteo alla Corte dell’imperatore. Credo che il mio cane Crab sia il cane di cuor più duro che esista: mia madre piangeva, mio padre sospirava, mia sorella gridava, la fante gemeva, il gatto si travolgeva le zampe, e tutta la casa era sossopra, e nondimeno questo cane dal cuor di roccia non spargeva una lagrima: egli è una pietra, una vera pietra, e non sente in sè più