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150 I DUE GENTILUOMINI DI VERONA


Giul. Che cosa è che raccogliete così dolcemente?

Luc. Nulla.

Giul. Perchè vi siete dunque chinata?

Luc. Per prendere un foglio che mi era caduto.

Giul. E un foglio lo chiamate nulla?

Luc. Nulla che mi risguardi,

Giul. Lasciate dunque che lo raccolgano coloro a cui spetta.

Luc. Signora, temo che non restasse sempre per terra.

Giul. Sarà qualche vostro amante che vi avrà scritto per le rime.

Luc. Così potrò cantare i suoi versi, signora, se mi insegnate un motivo, voi che ne sapete tanti.

Giul. Credo che potreste cantar sull’aria: luce di amore.

Luc. È troppo grave per così amabile tema.

Giul. Grave? Avrete gran soggetto dunque di stare allegra?

Luc. Sì, signora; e voi pure l’avreste, imparando questa canzone.

Giul. Perchè non me la dite?

Luc. È troppo alta per le mie corde.

Giul. Vediamo questi versi. — Ebbene, fraschetta?

Luc. Mantenete questo tuono, e canterete a meraviglia, sebbene parmi che tal tuono non mi piaccia.

Giul. Non piace a voi?

Luc. No, signora, è troppo stridulo.

Giul. Voi, donzelletta, siete troppo sfacciata.

Luc. Così adoperando sbandirete ogni armonia: se la voce del tenore non ci soccorre, il nostro concerto è fallato.

Giul. Tal voce non varrebbe a rendervi tollerabile.

Luc. Eppure giuocherei di sì, se il tenore fosse Proteo.

Giul. Questa cianciatrice non m’infesterà più e suggellerò con quest’atto la mia protesta. (straccia la lettera) Escite e lasciate lì quei brandelli di carta che col solo toccarli mi fareste andare in collera.

Luc. (a parte) Ella fa la sdegnata; ma sarà contenta mettendosi in collera per una seconda lettera simile a questa. (esce)

Giul. Ah foss’io adirata davvero contro quella lettera! Oh odiose mani che laceraste quegli amati caratteri! Io vi assomiglio, o ingrate vespe, che vi nutrite del mele più dolce, e trafiggete coi vostri dardi l’ape che ve li porge. Per espiare il mio fallo vuo’ coprire di baci tutti i brani di questa lettera. Ecco, qui sta scritto tenera Giulia; oh di’ piuttosto; Giulia crudele! Per punirmi della mia ingratitudine vuo’ porre il mio nome su questi