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146 I DUE GENTILUOMINI DI VERONA

essersi procacciato che pene crudeli; l’amore che termina sempre con una follia comprata con tutte le pene dello spirito; o lo spirito che va perduto, vinto ed oppresso dalle insensataggini dell’amore... no, tutto ciò non mi piace.

Prot. Così udendoti io non sono che un pazzo.

Val. Temo bene ascoltandoti che se nol sei lo divenga.

Prot. Dell’amore tu sparli, ed io non sono l’amore.

Val. L’amore ti è signore; e quegli che si lascia soggiogare da uno stolto non dovrebbe i’ dico esser collocato fra i savi.

Prot. Gli scrittori nondimeno affermano che l’amore abita nelle più belle anime come il verme divoratore nel bottone della più bella rosa.

Val. Ma gli scrittori dicono eziandio che quel bottone che più promette è spesso fracido internamente prima di espandersi, e che del pari l’amore conduce alla follia gli spiriti giovani; che essi appassiscono, perdono la loro freschezza di primavera, e il frutto d’ogni più dolce speranza. Ma a che gittare qui il tempo dandoti consigli, quando già tu sei tutto divoto all’amore? Anche una volta, addio. Mio padre mi aspetta nel porto per vedermi salire sopra il vascello.

Prot. Io ti vuo’ condurre da lui, Valentino.

Val. No, amico Proteo, è meglio che ci lasciamo qui. Allorchè sarò a Milano, scrivimi intorno a’ tuoi successi amorosi e di tutto quello che ti accadrà durante l’assenza del tuo amico; io pure colle mie lettere verrò spesso a conversare con te.

Prot. Possa tu trovare a Milano ogni felicità.

Val. Così incontri a te pure qui. Addio.

(esce)

Prot. Egli seguita l’onore, ed io l’amore; egli abbandona i suoi amici per onorarli di più, ed io abbandono tutti i miei amici e me stesso per l’amore. Quale strano cambiamento tu hai in me operato, Giulia! Tu mi fai trasandare i doveri, sperdere il tempo, combattere i più savi consigli, contar tutto per nulla, logorare il mio spirito fra sogni chimerici, e macerarmi il cuore fra le più crudeli inqietudini.

(entra Speed)

Sp. Messer Proteo, Iddio vi salvi; vedeste il mio signore?

Prot. Ei partì di qui dianzi, e andò ad imbarcarsi per Milano.

Sp. Venti contr’uno ch’è di già imbarcato; ed io son stato una capra perdendolo.

Prot. La capra infatti devia spesso se il pastore se ne allontana solo per un istante.

Sp. Così volete conchiudere che il mio padrone è un pastore, ed io una capra.