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ATTO SECONDO


SCENA I.

Un'altra stanza nella casa di Leonato.

Entrano Leonato, Ero, Antonio, Beatrice ed altri

Leon. Non era qui a cena il conte Giovanni?

Ant. Nol vidi.

Beat. Che aspetto sdegnoso ha quel gentiluomo! Io non lo guardo mai senza provare, per un’ora almeno, gravi mali di cuore.

Ero. Egli è di carattere molto melanconico.

Beat. Perfetto cavaliere sarebbe colui che stesse in un giusto mezzo fra lui e Benedick: l’uno è troppo simile ad un’imagine, non dice mai nulla; l’altro rassembra troppo al figlio maggiore della mia vicina, che sempre ciancia.

Leon. Onde metà della lingua di Benedick nella bocca di don Giovanni, e metà della melanconia di don Giovanni sul volto di Benedick...

Beat. Con una buona gamba, un buon piede, e una borsa piena d’oro, zio, e ciò basterebbe per vincere qualunque donna del mondo, purchè vi fosse però un po’ d’arte per cattivarsene la buona volontà.

Leon. Tu non avrai mai uno sposo, nipote, se non punisci quella tua lingua.

Ant. In verità ella è maledettissima.

Beat. Maledettissima è più che maledetta: ond’io non avrò parte di ciò che Dio manda: poichè è detto che Dio dà corte corna a una cattiva giovenca; ma a una giovenca troppo cattiva, non ne dà di sorta.

Leon. Così per esser troppo maledetta. Dio non le darà alcun uomo.

Beat. Sì, s’ei non mi dà mai marito; per ottenere il quale benefizio io lo prego inginocchiata da mane a sera. Signore! Io non potrei sopportare un marito colla barba sul viso; più mi piacerebbe giacermi fra la lana.

Leon. Potreste trovar anche un consorte senza peli.

Beat. Che ne farei di lui? Lo acconcierei io coi miei panni,