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44 LE ALLEGRE FEMMINE DI WINDSOR


Pag. Vergogna, vergogna, messer Ford! Non arrossite? Qual demonio v’ispirò tali pensieri? Non vorrei m’entrassero siffatti umori per tutte le ricchezze di Windsor.

Ford. Son colpevole, messer Page, e ne porto la pena.

Ev. Voi sofferite a motiro della vostra cattiva coscienza: vostra moglie è una donna illibata e quale io vorrei trovarne fra mille o cinquecento.

Caj. Pel Cielo! io pur reggo che è una donna onesta.

Ford. Bene, io vi promisi un pranzo. — Venite, venite nel parco: vi prego di perdonarmi; dipoi vi farò conoscere ciò che mi spinse a questo passo. — Venite, moglie; venite, mistress Page; vi prego di perdonarmi; cordialmente vi prego di perdonarmi.

Pag. Andiamo, gentiluomini; (a parte a Mis. Ford) lo vogliamo punire. — Vi invito tutti, signori, dimani mattina in mìa casa ad asciolvere; dopo di che se lo volete ce ne andremo a caccia, possedendo io un ottimo falco da boschi. Vi piace il disegno?

Ford. Vi aderisco di buona voglia.

Ev. Se uno va io gli terrò compagnia.

Caj. Se uno o due vanno io sarò il terzo.

Ford. Messer Page, andiamo, ve ne prego.

Ev. Ed io pure tì prego di ricordarvi dimani dello scaltrito oste che ne ha beffati.

Caj. Sta bene, pel Cielo! con tutto il cuore.

Ev. Scorto malandrino, che se la prende anche con noi. (escono)

SCENA IV.

Una stanza nella casa di Page.

Entrano Fenton e miss Anna.

Fen. Veggo ch’io non potrò mai ottenere l’amore di tuo padre; cessa perciò, mia dolce Anna, d’inviarmi a lui.

An. Oimè! e come dunque fare?

Fen. Adopera le tue forze, allorchè è necessario. Ei mi oppone la mia troppo illustre nascita; dice che il mio amore non è che arte; che indirizzo i miei voti alle sue ricchezze, per riparare le mie finanze sdrucite; cerca per tutto armi contro di me; mi rimprovera antichi errori, rammenta il mio consorzio con uomini libertini; e assevera, impossibile a credersi, ch’io non ti amo che per il tuo oro.