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ATTO TERZO 43


Pag. Buon messer Ford, calmatevi: vi fate troppa onta.

Ford. Veramente, messer Page? Su, gentiluomini, se volete godere: seguitemi. (esce)

Ev. Sono umori balzani, le son gelosie.

Caj. Pel Cielo! non è moda di Francia: non v’è gelosia in Francia.

Pag. Seguitelo, gentiluomini; vedete il fine delle sue indagini.

(esce con Ev., Caj. e Ford)

Miss. Page. L’avventura non è doppiamente piacevole?

Mis. Ford. Non so se mi allieti più l’inganno di mio marito, o quello di sir Giovanni.

Mis. Page. Qnal ansia dovè provare allorchè vostro marito colle ragione del cesto.

Mis. Ford. Credo che avrà bisogno di essere lavato; onde il gettarlo in acqua gli sarà benefico.

Mis. Page. Maledizione su tai ribaldi! vorrei che tutti provassero sì fatte angoscie.

Mis. Ford. Penso che mio marito avesse qualche sospetto sulla venuta di Falstaff, poichè non lo viddi mai così acceso di gelosia.

Mis. Page. M’adoprerò per saperlo, e ciò ne darà maggior materia di riso, a spese del cavaliere, la cui dissolutezza non verrà però sanata da questa medicina.

Mis. Ford. Manderemo la pazza mistress Quickly da lui per scusarci della sua cacciata in acqua? Gli daremo altre speranze, per poscia di nuovo punirlo?

Mis. Page. Sì, sì; mandiamogliela dimani alle otto per tessere le nostre apologie.

(rientra Ford, Page, Cajus e sir Ugo Evans)

Ford. Non posso trovarlo: forse il malandrino si gloriava di cose che non erano in poter suo.

Mis. Page. Lo udite?

Mis. Ford. Sì, sì; tacete. — Voi mi trattate assai bene, messer Ford, non è vero?

Ford. Sì, così fo.

Mis. Ford. Il Cielo vi renda migliore dei vostri pensieri.

Ford. Amen.

Mis. Pag. Voi fate a voi stesso gravi oltraggi, messer Ford.

Ford. Saprò tollerarli.

Ev. Se si trova un cristiano nelle camere, o negli armadii, il Cielo non mi perdoni i miei peccati nel dì del giudizio!

Caj. Pel Cielo! dico così anch’io; qui non vi è nessuno.