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382 IL RE ENRICO VIII

a te corre: offendete milord di Canterbury, ed ei vi diverrà amico per sempre. — Venite, signori, non sperdiamo altro tempo. Desidero di vedere quella fanciulletta divenuta cristiana. Restate uniti, signori, com’io v’ho uniti: così io sarò più forte, voi più onorati. (escono)

SCENA III.

Il Cortile del Palazzo.

Romore al di dentro. Entra il Portiere e il suo Valletto.

Port. Vi farò ben desistere da tal romore, plebaglia. Credete voi che la Corte sia fatta una taverna? Recate altrove le vostre grida, gente malnata. (una voce al di dentro dice: Buon portiere, io appartengo alla dispensa).

Port. Va al patibolo, se vuoi, e là rimani appeso. È questo un luogo da farvi tanto strepito? Portatemi una dozzina di bastoni di pomo selvatico, e ben forti: cotesti non sarebbero che canne per le larghe spalle di coloro. Solleticherò loro la testa. — Ah! volete vedere il battesimo? Credete di trovar qui ala e cacio, furfanti da strada?

Val. Vi prego, signore, d’essere paziente: è così impossibile il cacciarli, se pur non si adoprasse il cannone, com’è di farli dormire la mattina del primo giorno di maggio; cosa che non si vedrà mai. Sarebbe più facile far muovere la chiesa di san Paolo che costoro.

Port. Come entrarono? possa essere tu pure appiccato!

Val. Oimè, nol so. Come entra la marea? Ho menate botte finchè ho potuto, valendomi d’un buon bacolo, e vedete cosa me ne rimane.

Port. Voi non avete fatto nulla, mariuolo.

Val. Non sono certo nè Sansone, nè sir Guido, nè Colbrand, per atterrarli dinanzi a me: ma se ne risparmiai qualcuno, fosse giovine vecchio, uomo o donna, fanciullo o adulto, adultero o adulterato, ch’io non mangi mai più bue: sebbene non vorrei mangiar vacca per tutto l’oro del mondo. (la voce dal di dentro: Ci udite, portiere?)

Port. Fra poco sarò da voi, imbelle. — Tien chiuse le porte, malandrino.

Val. Che debbo io fare?

Port'. Che vuoi tu fare, fuorchè fiaccarli a dozzine? È questa la pianura di Morfieltz per venirsi a schierare in rassegna? o ab-