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ATTO QUINTO | 381 |
Enr. No, signore, ciò non mi piace. — Crederò arere nel mio Consiglio uomini saggi e illibati; ma veggo che errai. Era ella cosa onesta, signori, il lasciar quest’uomo, quest’uomo dabbene (ve ne son pochi fra voi che meritino tal titolo), questo virtuoso prelato confuso nell’anticamera fra gl’infimi valletti? Un cittadino cospicuo e grande al par di voi! Qual vergogna fargli tale oltraggio! Il mio comando esigeva forse che obbliaste tanto voi stessi? Vi ho dato i poteri per giudicarlo come membro del Consiglio, non come un vile schiavo. Però veggo che v’è qualcuno fra di voi, che animato dall’odio piuttosto che da un sentimento d’integrità, non domanderebbe meglio che di trattarlo con estremo rigore, se ne avesse il potere; ma questo non l’avrà mai, finchè io respiri.
Crom. Mio temuto sovrano, Vostra Maestà si degni permettermi di farvi le scuse per questi lórdi. Se era stata proposta la sua prigionia, ciò era (se pur può credersi alla buona fede degli uomini) per facilitare la sua giustificazione, e i mezzi di far apparire pubblicamente la sua innocenza, piuttostochè per alcun disegno di nuocergli: per me almeno io dichiaro questi sentimenti.
Enr. A meraviglia. — Or dunque, miei’ lórdi, rispettatelo: ribevetelo fra di voi, e trattatelo con onore, perocchè egli n’è degno. Direi anche che, se un re può essere obbligato ad un suo suddito, io lo sono a lui per la sua tenera affezione e i suoi fedeli servigi. Non mi date altre inquietudini! Abbracciatelo tutti, e in nome dell’onore siate amici, miei lórdi. — Milord di Canterbury, debbo pregarvi d’una cosa che non dovete rifiutare. V’è qui nel palazzo una fanciulletta che non ebbe ancora il battesimo: bisogna che voi le diveniate padrino, e che rispondiate per lei.
Cran. Il più gran monarca che regni oggi in Europa si glorierebbe di tale ufficio: come posso io meritarlo, io che non sono che uno dei vostri più umili sudditi?
Enr. Via, via, milord: voi potete esimervi dai doni della cerimonia. Avrete con voi due nobili compagne, la venerabile duchessa di Norfolk e la marchesa di Dorset. Queste signore vi piacciono per matrine? — Anche una parola, milord di Winchester; vi comando d’abbracciare e d’amare quest’uomo dabbene.
Gar. Col cuor più sincero, e coll’amore d’un fratello.
Cran. Il Cielo mi sia testimonio quanto quest’assicurazione per parte vostra m’è cara.
Enr. Buon uomo, le tue lagrime mostrano la dolcezza del tuo cuore, e mi fanno trovar vero quel detto volgare che intorno