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ATTO QUINTO
SCENA I.
Una galleria nel palazzo.
Entra Gardiner, vescovo di Winchester; un paggio con una torcia lo precede.
Gar. È un’ora, paggio; non è vero?
Pagg. È suonata adesso.
Gar. Queste ore dorrebbero essere riserbate a doveri indispensabili, e non usurpate dai piaceri. È il tempo di riparar le forze della natura col riposo e non di sperderle in vane frivolezze. — (entra sir Tommaso Lovell) Buona notte, sir Tommaso! Dove andate sì tardi?
Lov. Siete stato dal re, milord?
Gar. Sì, sir Tommaso; e lo lasciai che giuocava col duca di Suffolk.
Lov. Bisogna ch’io pure vada da lui, prima ch’egli si corichi. Con vostra licenza.
Gar. Non ancora, sir Tommaso. Di che è quistione? Parete concitato, e se non fosse indiscretezza, vi pregherei a dirmi il motivo di tanta sollecitudine. I negozi che si discutono nelle ore in cui suol dirsi che errano gli spiriti, sono di un carattere più grave di quelli che si ventilano ai chiarori del dì.
Lov. Milord, io vi amo, ed oso confidare al vostro orecchio un segreto molto più importante della bisogna che ora mi tiene assorto. La regina è fra le doglie del parto, e versa in estremo pericolo: si teme ch’ella non ispiri, dando alla luce il frutto delle sue viscere.
Gar. Innalzo voti sinceri perchè questo prosperi: ma in quanto al tronco, sir Tommaso, desidero ch’egli inaridisca e sia aradicato.
Lov. Mi pare che potrei ben rispondervi amen; e nondimeno la mia coscienza mi dice che è una buona creatura, una vaga signora che merita da noi voti più propizi
Gar. Ma, amico, amico, ascoltatemi. Voi siete un gentiluomo che dividete i miei sentimenti e i miei principii: siete savio e religioso, e perciò vi dichiaro che tutto questo non potrà riescire a bene. No, ciò non finirà bene, sir Tommaso, a meno che Cranmer