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ATTO TERZO 367

chiesa, ed è tornata con pompa magnifica alla piazza di York, dove si celebrano le feste.

Gent. Non dovete chiamarla piazza di York; quel nome è annullato. Essa appartiene al re, e si chiama ora White-Hall.

Gent. Lo so: ma il cambiamento è tanto nuovo che l’antico nome mi rimane ancora nella memoria.

Gent. Chi erano i due vescovi che camminavano a fianco della regina?

Gent. Stohesly e Gardiner: l’uno vescovo di Londra (seggio a cui è stato di recente elevato, da segretario che era dei re), l’altro di Winchester.

Gent. Quello di Winchester non si crede molto amico dell’arcivescovo, del virtuoso Cranmer?

Gent. Tutti lo sanno: nondimeno la loro inimistà non è molto grande, e se ella si accrescesse, Cranmer troverebbe un uomo che non l’abbandonerebbe.

Gent. Chi è questi, ve ne prego?

Gent. Tommaso Cromwell; uomo molto stimato dal re, e per verità assai degno di esserlo. Il re l’ha fatto gran maestra dei gioielli della corona e membro del consiglio privato.

Gent. Ei merita anche di più.

Gent. Sì, senza dubbio. — Venite, signori, venitene meco alla Corte, dove sarete accolti come miei ospiti: un po’ vi comando anch’io. Lungo la via vi narrerò altre cose.

I due primi Gent. Siamo ai vostri ordini, signore. (escono)

SCENA II.

Kimbolton.

Entra Caterina sorretta da Griffith e da Pazienza.

Griff. Come sta Vostra Grazia?

Cat. Oh! Griffith, malata a morte: le mie gambe, come rami caricati di soverchio, si piegano verso terra, quasi depor vi volessero loro fardello. Datemi una sedia. Ora mi pare di essere un po’ più sollevata. Non mi hai tu detto, Griffith, conducendomi qui, che quell’illustre figlio della fortuna e del favore era spento?

Griff. Si, signora. Ma credo che Vostra Grazia, addolorata com’è, non vi abbia posto attenzione.

Cat. Ti prego, buon Griffith, di raccontarmi in qual guisa è