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290 VITA E MORTE DEL RE RICCARDO III


Ricc. Non oltraggiate la sua nascita, ella è verameute di sangue reale.

Elis. Per salvarle la vita dirò che non lo è.

Ricc. La sua nascita sola basta a guarentirla.

Elis. Ma tale guarentigia fu cagione della morte de’ suoi fratelli.

Ricc. Stelle nemiche presiederono alla nascita di quei fanciulli.

Elis. La malvagità degli uomini fu la sola nemica dei giorni loro.

Ricc. Quello che non può evitarsi è decretato dal destino.

Elis. Sì; quando è il malvagio che fa il destino. I miei figli erano destinati a morte più felice, se il Cielo ti avesse accordato vita più virtuosa.

Ricc. Voi parlate come se avessi io assassinati i miei cugini.

Elis. Questo festi; e hai loro tolto tutto, felicità, corona, parenti, libertà e vita. Quali che si fossero le mani che trafissero i loro teneri cuori, fu la tua testa che segretamente meditò quel colpo. Il pugnale omicida sarebbe rimasto impotente e inoffensivo, se aguzzato non fosse stato da te per essere immerso nelle viscere di que’ miseri. Ah! se la continuità d’un male alla fine nol scemasse, la mia lingua non nominerebbe i miei figli al tuo orecchio prima che le mie unghie non t’avessero strappati gli occhi, e che io, come fragile barca, in balìa di morte senza remi e senza vele, non mi fossi venuta a rompere contro il tuo seno di roccia1.

Ricc. Signora, così i successi della guerra che intraprendo e delle pericolose battaglie a cui mi commetto pendano dalla verità di quanto sto per dirvi, come vero è ch’io amo più voi e i vostri, che male non vi abbia fatto mai.

Elis. Qnal bene nascosto ancora nel Cielo può avvenirmi che valga a rendermi felice?

Ricc. L’innalzamento dei vostri figli, gentil signora.

Elis. Su qualche patibolo forse, onde perdervi la testa?

Ricc. No, ma alle dignità e al colmo delle fortune, in seno alle grandezze supreme della terra.

Elis. Culla il mio dolore col racconto di tali fole. Dimmi quali onori, quale dignità, qual fortuna riserbare tu puoi ai miei figli?

Ricc. Tutto quello ch’io possiedo, non escluso me stesso, io vo’ donare all’uno dei vostri figli: e voglio che la vostra anima

  1. Abbiamo tradotta letteralmente.