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ATTO QUARTO 285


SCENA IV.

La stessa dinanzi al palazzo.

Entra la regina Margherita.

Mar. Così la prosperità della casa di York comincia a decrescere, e, quasi frutto che ha passato il termine di sua maturazione, sta per cadere nella bocca divoratrice della morte! Qui venn’io di nascosto per osservare la rovina de’ miei nemici: testimone fui di un infausto prologo, e ritornerò in Francia colla speranza che le scene che stan per compiersi siano del pari crudeli. Nasconditi, sfortunata regina, qualcuno viene a questa volta. {{Ids|(si ritira; entrano la regina Elisabetta e la Duchessa di York)

Elis. Ah miei poveri principi! miei teneri figli! amabili fiori nati appena da un giorno; se le vostre ombre innocenti errano per questi luoghi, se inghiottiti non siete stati nell’abisso dell’eternità, sospendete al disopra di me le vostre ali invisibili, ed ascoltate i gemiti della madre vostra.

Mar. Sì; fermatevi sulla sua testa, e ditele che fu la giustizia che vi ha immersi dal nascere nell’eterna notte.

Duch. Tanti mali han logorata la mia voce, che la mia lingua stanca di querelarsi rimane muta. — Eduardo Plantageneto, oimè, perchè sei tu morto?

Mar. Plantageneto vendica Plantageneto; Eduardo sconta, morendo, il debito che aveva contratto con Eduardo.

Elis. Potesti tu, Dio benefico, abbandonare si teneri agnelli e lasciarli in preda all’ira d’un lupo divoratore? dove era la tua giustizia allorchè fu compiuto tanto misfatto?

Mar. Dov’era essa, quando fu trafitto il mio virtuoso Enrico e il mio diletto figlio?

Duch. Spettro vivente, i di cui occhi sono estinti, e a cui non riman più che un soffio di vita; spettacolo di miseria; deplorabile oggetto d’orrore e di compassione: proprietà della tomba che la vita usurpa e ritiene ancora; monumento delle calamità dell’esistenza, riposa le tue stanche membra sulla terra di quest’isola bagnata d’innocente sangue, sparso dall’ingiustizia.

(si assiede per terra)


Elis. Oh terra! perchè non puoi tu darmi una tomba, come puoi darmi un tristo seggio? Vorrei non riposare le mie ossa sulla tua superficie, ma asconderle nel tuo seno. Ah! chi è che nel mondo ha motivo di gemere fuorchè noi? (si asside ella pure)

Mar. Se il dolore più antico è il più rispettabile, (avanzan-