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VITA E MORTE ECC. — ATTO QUARTO | 279 |
Ann. Sinistro evento! Notizia sciagurata!
Dor. Coraggio, mia madre: come state?
Elis. Oh! Dorset, non parlarmi, fuggi, fuggi: la morte ti è sopra; il nome di tua madre è fatale a’ suoi figli: se vuoi sottrarti alla morte che t’incalza, fuggi, traversa i mari, e va a vivere con Richemond, lungi da queste trame infernali; va, allontanati, allontanati da questo infausto luogo, se accrescere non vuoi il numero degli estinti, e lascia che in me si compia la maledizione di Margherita, e ch’io muoia nè madre, nè moglie, nè regina d’Inghilterra.
Stan. Pieno di saviezza è questo vostro consiglio, signora, — Dorset, approfittate rapidamente delle ore. Vi darò lettere commendatrici per mio figlio, e gli scriverò di venirvi incontro: non vi lasciate sorprendere con un’imprudente dimora.
Duch. Oh vento funesto, che semini le calamità! Oh mio seno maledetto! mio letto fatale! Io generai un serpente, il cui occhio inevitabile lancia la morte.
Stan. Andiamo, signora, degnatevi seguirmi; mi fu raccomandata la massima sollecitudine.
Ann. E con dolore vi seguirò. Oh! piacesse a Dio, che il circolo d’oro che mi attornierà la fronte fosse un ferro rovente, che mi abbruciasse il cervello! Potessi io essere coronata con un veleno corrosivo, che spirar mi facesse prima di udir le grida di viva la regina!
Elis. Andate, andate, sfortunata principessa; io non invidio la vostra gloria; e non vi auguro alcun male per amor di vendetta.
Ann. Ma io merito la mia sorte! — Allorchè quegli, che è ora mio sposo, venne ad incontrarmi mentre io seguiva il feretro di Enrico, allorchè appena egli aveva lavate le sue mani dal sangue che esciva dalle ferite del mio virtuoso consorte, uomo celeste, di cui accompagnava piangendo le spoglie inanimate; allora io alzai gli occhi sopra Riccardo, e gli dissi: sii maledetto per aver fatto di me, così giovine, una trista vedova; e se mai ti ammogli, il dolore e la disperazione assediino il tuo letto nuziale; e la tua sposa (se pur si trova una donna tanto disperata da accettar la tua mano) divenga più infelice per la tua vita, che infelice tu non m’abbia resa trafiggendomi lo sposo! E oimè! prima che io potessi ripeter questa maledizione, in quel breve intervallo di tempo il mio vil cuore si lasciò piegare dal suo astuto linguaggio, e mi fece oggetto e vittima della mia imprecazione. Da quel momento funesto i miei occhi non si son più chiusi al sonno: nel di lui