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ATTO SECONDO | 257 |
Elis. Per qual delitto?
Mess. Vi ho detto quel che sapevo: la ragione per la quale sono stati arrestati mi è interamente ignota, mia bella regina.
Elis. Oimè! veggo la rovina della mia casa. La tigre ha stretto fra i suoi artigli il cervo gentile: la tirannia insultatrice comincia ad innalzarsi sul fragile trono di un fanciullo, che non può farlo rispettare. Regnate dunque, distruzione, carnificina, macello; veggo notato come in un disegno manifesto lo scioglimento dì questa sanguinosa tragedia.
Duch. Terribili giorni di torbidi e di discordia! quanti oimè i miei occhi ne han diggià veduti! II mio sposo ha perduto la vita per guadagnare una corona; i miei figli sono stati sbalzati da cento diverse fortune, facendo che ad ora ad ora io mi allietassi dei loro successi, o deplorassi le loro perdite. Costituiti in fine vincitori, quando tutte le contese domestiche erano attutate, essi si fan guerra gli uni cogli altri, fratello contro fratello, sangue contro sangue, ognuno contro di sè. Oh! distruzione contro natura, rabbia insensata e frenetica, sfoga alfine i tuoi esecrandi furori! o lasciami morire, ond’io non mi vegga più la morte dinanzi.
Elis. Venite, venite, mio figlio; andiamo al tempio, signora, addio.
Duch. Aspettate, verrò con voi.
Elis. Voi non avete nulla a temere.
Arc. Mia graziosa signora, (a Elis.) andate e portate in quell’asilo tuttociò che voi avete di più prezioso. Per me io rimetterò fra le vostre mani i suggelli del regno, che mi erano stati affidati, e la mia sorte sarà quale me la procaccia la tenera affezione che porto a voi e ai vostri! Venite, io vi condurrò al tempio.
(escono)