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ATTO SECONDO 251


Figlio. Così, avola, voi consentite che egli è morto. Il re mio zio merita gran biasimo per ciò: Dio ne vorrà vendetta, ed io l’importunerò con ardenti preghiere per ottenerla.

Figlia. Così farò anch’io.

Duch. Pace, fanciulli, pace! Il re vi ama, e inetti voi siete a ben apporvi sull’autore della morte di vostro padre.

Figlio. Questo possiamo, mia avola; perocchè il mio buon zio Glocester mi disse che il re, istigatovi dalla regina, aveva imaginato certe frodi per arrestarlo: e quando mio zio mi disse ciò, egli piangeva, e mi commiserava, e gentilmente mi baciava le gote, aggiungendomi di riguardarlo come padre, perocchè amato mi avrebbe qual suo figliuolo.

Duch. Ah! è egli possibile che la perfidia simuli forme così amabili e nasconda le profondità de’ suoi vizii sotto la maschera della virtù? Egli è mio figlio, ed è la mia vergogna, sebbene dal mio seno non succhiasse tal arte d’ingannare.

Figlio. Credete voi, mia avola, che lo zio simulasse?

Duch. Si, garzone.

Figlio. Non posso pensarlo. Udite! che romore è questo? (Entra la regina Elisabetta disperata, Rivers e Dorset la seguono) Elis. Ah! chi mi impedirà di gemere e di piangere? di sdegnarmi contro la mia sorte, e di cruciar me stessa? Sì, mi unirò alla nera disperazione e con lei congiurerò contro i miei giorni.

Duch. A che accennano questi impeti violenti?

Elis. Ad un atto di violenza tragica. Eduardo, il mio sposo, il figlio tuo, il nostro re è spento. Perchè crescono i rami allorchè il tronco è abbattuto? Perchè non si disseccano le foglie a cui manca l’umore? Se volete vivere, vivete per piangere: se vo^lete morire, affrettatevi, onde le nostre celeri anime raggiunger possano quella del re. Seguiamolo da sudditi fedeli nel suo nuovo regno, in cui è un riposo eterno.

Duch. Ah! ho tanta parte al tuo dolore, quanti titoli avevo per amare il tuo nobile sposo! Ho pianta io pure la morte di un consorte virtuoso, nè serbai la vita che contemplandone ancora l’imagine ne’ suoi due figli: ma ora la barbara morte ha rotto i due specchi che riflettevano le sue auguste sembianze, e più non mi rimane per consolarmi che un cristallo infido e mendace che mi turba lo sguardo, e non tramanda su di me che il mio obbrobrio! Tu sei vedova, ma sei madre, e hai per consolarti i figliuoli che ti restano. Ma a me la morte ha rapito dalle braccia lo